Un mese fa aveva firmato un accordo da 9 miliardi di dollari con il ministero del petrolio egiziano per esplorare e produrre petrolio e gas nel deserto occidentale del Paese. Oggi il colosso statunitense Apache annuncia l’aumento di un altro miliardo nel pacchetto complessivo dei suoi investimenti in Egitto.
Il dopo-Zohr si arricchisce di strategie e consolidamenti.
APACHE
La firma dell’accordo sarà nel breve periodo, ma spiccano le parole del ceo di Apache, John Christmann, dopo aver incontrato il ministro egiziano del petrolio, Tarek al-Molla: la decisione della sua compagnia “riflette l’importanza dell’Egitto per Apache”. Per questa ragione il legame tra Christmann e Al-Molla si fonda sulle nuove prospettive nel settore, come i mezzi per espandere le attività di esplorazione di Apache in Egitto, oltre ai progetti in corso e ai piani di investimento futuri nel Paese.
Obiettivo della compagnia è di elaborare un piano quinquennale per l’esplorazione petrolifera in Egitto nel post Zohr, compresi gli investimenti e la produzione, utilizzando le tecnologie più avanzate nel settore petrolifero e del gas. Il ceo di Apache ha anche sottolineato che è stato delineato un piano per iniziare a lavorare nella nuova area di concessione “Sharq Bahariya” nel deserto occidentale, da dove proviene il 57% della produzione complessiva di petrolio greggio egiziano.
Lontanissimi i tempi in cui, quando Abdel-Fattah al-Sisi prese il potere nel luglio 2013, l’Egitto era tormentato da black-out praticamente quotidiani con le linee di produzione delle fabbriche che si spegnevano improvvisamente e chirurghi costretti ad operare negli ospedali con torce o candele.
NUOVA FRONTIERA
Oggi l’Egitto è uno dei principai hub energetici mediterranei, anche grazie alla partnership instaurata con Israele, Cipro e Grecia. Le condizioni interne del Paese sono mutate, come dimostrano molti dati economici. Da quest’anno l’economia egiziana è considerata ufficialmente in via di stabilizzazione, con il recupero della crescita del pil, l’inflazione moderata e il consolidamento fiscale.
Nonostante notevoli progressi vi sono molte altre riforme da implementare, così come riportato da un paper del Fmi nei settori della concorrenza, dell’accesso ai finanziamenti, della trasparenza e dell’accesso al mercato del lavoro. Ma il gas potrebbe essere elemento di traino. Al momento vi sono in Egitto due terminali di liquefazione costruiti lungo la costa settentrionale, che rappresenta un aspetto positivo per l’Egitto nello sviluppo del business del gas naturale.
Lo scorso febbraio, infatti, è stato siglato un accordo da 15 miliardi di dollari con gli esportatori israeliani di gas e la società egiziana Dolphinus che permetterà a Tel Aviv di utilizzare gli impianti di liquefazione egiziani. In questo modo vi sarebbe presto uno sbocco per il giacimento di gas Leviathan offshore di Israele.
Tra l’altro l’Egitto è vicino a rimborsare i debiti alle compagnie petrolifere straniere, un segno di ripresa economica e un passo importante verso l’attrazione di nuovi investimenti. Infatti il governo egiziano, tre settimane fa, ha pagato 1,2 miliardi di dollari a società petrolifere straniere operanti in Egitto. La restante tranche da 1,2 miliardi sarà rimborsata entro dicembre 2019.
STRATEGIA
La presenza di Apache in Egitto risale a 22 anni fa e proprio questo lasso di tempo ha consentito alla compagnia di essere una delle maggiori che operano nel deserto occidentale dell’Egitto, affiancandosi a players globali come Eni e BP.
Dopo la scoperta di Zohr da parte di Eni nel 2015, ecco che la geografia complessiva del gas mediterraneo ha mutato perimetro. Due anni prima Apache ha subito una significativa trasformazione, con l’ingresso in società della China Petroleum & Chemical Corporation che con 3,1 miliardi di dollari è salita al 33% nella società. La Cina ha deciso di scalare il player al momento più forte nel Mediterraneo orientale per non perdere il treno del mercato nordafricano, dove le prospettive nel medio-lungo periodo sono favorevoli (lo dimostra l’ulteriore scoperta di Eni, Noor, al largo del Sinai).
In occasione del recente meeting aziendale, il numero uno di Khalda Petroleum Company, Khalid Mowafi, ha osservato che la sua compagnia, in collaborazione con la compagnia petrolifera statunitense Apache Corporation, ha perforato in tutto 59 pozzi.
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