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Brexit deal cercasi. L’opinione dei think tank

Brexit

Il meeting di Salisburgo del 20 Settembre scorso tra i leader europei non ha fatto che confermare lo stallo delle trattative per l’accordo di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Accordo o no, Il 29 Marzo 2019 l’Uk sarà fuori dall’Unione, due anni dopo aver attivato l’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che regola la procedura di ritiro volontario dall’Unione.

Quali sono a questo punto gli scenari più probabili? L’accordo sulla Brexit è ancora più possibile?

Intervistati da Judy Dempsey, Senior Fellow a Carnegie Europe, un panel di esperti europei e internazionali ha provato a rispondere.

Secondo Riccardo Alcaro, ricercatore all’Istituto Affari Internazionali di Roma, a questo punto non c’è spazio per le soluzioni “pick and choose” a cui ambiscono i britannici. Più volte i leader europei hanno respinto l’idea che Uk possa rimanere membro del mercato unico senza garantire la libera circolazione delle persone. Per quanto riguarda la proposta irlandese di garantire nell’accordo che il confine con l’Irlanda del Nord rimarrà aperto, Alcaro è sicuro che alla fine “La May ingoierà il boccone amaro”.

Philip Boyes, direttore al Project Associates è dello stesso parere. Il piano della May di rimanere nel mercato unico delle merci ma non in quello dei servizi è un “non inizio”. Nelle capitali europee si comincia a realizzare, spiega Boyes, che uno no-deal è una possibilità reale.

L’ostacolo più critico, secondo Tony Connelly – Europe editor a Rtè – è quello del confine irlandese. Invece di accettare il cosiddetto backstop– la clausola di salvaguardia che manterrebbe l’Irlanda del Nord all’interno delle regole dell’unione doganale in caso di mancato o ritardato accordo – ne ha fatto una questione di sovranità nazionale. Dello stesso avviso il direttore dello Schuman Centre dell’European University Institute, Brigid Laffan: “Il Regno Unito– spiega – non è disposto ad accettare la proposta dell’Ue, con lo scopo di protrarre ulteriormente le negoziazioni”.

La soluzione, spiega Federico Fabbrini, professore di Diritto Ue alla Dublin City University, potrebbe essere quella di un “periodo transitorio”, in cui Uk abbia la possibilità di “ricreare le capacità legali, amministrative e politiche di uno Stato indipendente dopo 43 anni di permanenza nell’Ue”. Per farlo è però necessaria una bozza dell’accordo per il ritiro, backstop con l’Irlanda incluso.

“Un Brexit deal è possibile – spiega l’ex ministro inglese per gli affari europei, Denis Macshane – a patto che si riesca a distinguere Brexit dall’accordo per il ritiro, che è invece la formulazione legale per abbandonare i trattati europei alla fine di marzo 2019”. I temi chiave sul tavolo sono tre, i soldi che Londra deve a Bruxelles, le tutele per i cittadini Ue in Uk e per i Britannici in Europa e la questione della frontiera in Nord Irlanda. È proprio su quest’ultimo punto che le parti non si intendono. Occorre fare attenzione – avverte Macshane – qualche parlamentare opportunista potrebbe essere tentato di far saltare respingere qualsiasi accordo per danneggiare la May, “ciò apre il rischio di blocco del commercio e dei voli, controlli sui capitali e il crollo dell’economia britannica.

“Un deal ci sarà, ma sarà un accordo dell’ultimo minuto”. È questa invece la tesi del direttore del Barcellona Centre for International Affairs, Pol Morillas. Questo perché, spiega l’esperto, la pressione per entrambe le parti aumenterà, così come gli incentivi a trovare un accordo, soprattutto in vista delle elezioni europee.

Anche Mary Murphy, professore di integrazione europea presso l’University College di Cork è convinto che alla fine le due parti troveranno un’intesa. Sarà tuttavia un’impresa non da poco, che richiederà “leadership politica, abilità negoziali, un contesto politico adatto e una certa dose di coraggio”. Potrebbe essere il summit previsto per novembre, secondo il direttore del German Council on Foreign Relations Daniela Schwarzer, l’appuntamento chiave per trovare l’accordo. Magari un accordo non ancora completo, che lasci la risoluzione dei temi più controversi, come quello del confine nord-irlandese, per il periodo di transizione.

Non si fa stupire dai toni drammatici di Salisburgo l’editorialista di Politico, Paul Taylor. “In tutte le negoziazioni le parti aspettano l’ultima fase per fare delle concessioni… Alla fine Uk dovrà accettare di rimanere nell’unione doganale in tutto, tranne che nel nome”.

Anche Pierre Vimont, Senior Fellow a Carnegie Europe, è convinto che nel vertice di Salisburgo le parti abbiano giocato duro essenzialmente per rispondere a fini politici nazionali. I veri problemi, avverte, arriveranno dopo la Brexit e dopo le elezioni europee, quando ci saranno le prime tensioni commerciali tra Londra e la Ue a 27, la cui situazione politica sarà a quel punto ancora più incerta e confusa. Un accordo non sarà necessario trovarlo se però i britannici dovessero decidere di tornare sulla decisione presa 27 mesi fa. È questa l’idea del parlamentare polacco di lungo corso Jacek Saryusz-Wolski, eletto più volte al Parlamento europeo con i Popolari. “L’opzione di un nuovo referendum è la migliore – spiega – perché Brexit è dannosa per Uk e per l’Europa”.

Era il 23 Giugno 2016 quando i cittadini di Sua Maestà hanno deciso di lasciare l’Ue. A più di due anni da quello che è stato uno spartiacque per la storia recente dell’Europa, non è ancora chiaro quali saranno i termini con cui Londra lascerà gli ex partner europei. Il tempo è quasi scaduto e sembra ormai certo che i temi più spinosi verranno lasciati per il periodo di transizione che comincerà dopo Marzo del prossimo anno, con l’aggiunta di una variabile impazzita però: il risultato delle elezioni europee di maggio, da dove potrebbe uscire un’Europa radicalmente cambiata.


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