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Huawei e digitalizzazione delle Pmi italiane. Opportunità e rischi

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Huawei “corteggia” l’Italia, che potrebbe presto intensificare i rapporti con il colosso cinese nel delicato settore delle piccole e medie imprese, spina dorsale dell’economia della Penisola. Nelle scorse ore il sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci ha incontrato a Pechino il vicepresidente della multinazionale di Shenzhen Liu Kang, nell’ambito della missione che il rappresentante del nostro governo sta conducendo nel territorio del gigante asiatico dopo l’avvio di una task force dedicata ai rapporti economici bilaterali tra i due Paesi.

LE RISPETTIVE ESIGENZE

Ad avvicinare Roma e la Repubblica Popolare ci sono esigenze complementari. Fra “gli obiettivi principali” del gruppo di lavoro insediatosi al Mise, ha twittato Geraci, c’è “quello della digitalizzazione delle Pmi italiane che attualmente non riescono a penetrare il difficile mercato cinese, ormai interamente dominato da piattaforme on-line come Alibaba, Jing Dong, Weixin, Weibo, Kaola e Xiao Hong Shu”. Proprio con Alibaba, ad esempio, aveva spiegato Geraci a Formiche.net, si sta “portando avanti un progetto per inserire le aziende italiane in un hub della famosa piattaforma di e-commerce cinese”. Ma non viene sottovalutata nemmeno l’attrazione di preziosi investimenti, dal momento che, nota ancora l’esponente del Mise, la società cinese “investe circa 20 miliardi di dollari all’anno in ricerca e sviluppo e dove il 40% degli impiegati lavora nel dipartimento R&D”.
Dal canto suo, Huawei cerca invece di consolidare i recenti risultati positivi – ad agosto la vendita dei suoi smartphone ha superato a livello mondiale quella di Apple, piazzandosi subito dopo Samsung che resiste al primo posto – e di guadagnare nuove fette di mercato in ambiti strategici come quello delle reti e delle infrastrutture.

I RISCHI SECONDO GLI ESPERTI

Matrimonio in vista, dunque? Non necessariamente, anzi. Per ora si tratta solo di una “promessa” di fidanzamento. L’operazione, infatti, è tutt’altro che semplice o scontata, come in un certo senso traspare anche dalle parole di Geraci che la definisce un’idea “per migliorare la competitività del nostro sistema imprenditoriale”, ma “da affinare”. Anche perché, rilevano alcuni addetti ai lavori, gli ostacoli da superare potrebbero non essere solo di natura economica.
Ben vengano l’e-commerce e l’esportazione di prodotti italiani nell’immenso mercato cinese, ma aprire oggi le porte al Dragone in settori altamente strategici, ha detto sempre a questa testata Luciano Bozzo, presidente del corso di Laurea magistrale in Relazioni internazionali e all’Università di Firenze e direttore del Corso in Intelligence e sicurezza nazionale, è un’operazione non priva di rischi, dal momento che su alcuni dossier potrebbe porre un problema di collocazione internazionale del nostro Paese e nel rapporto con gli Stati Uniti.

LO SCENARIO INTERNAZIONALE

Proprio tra Washington e i colossi della telefonia e delle reti di Pechino – Huawei e Zte su tutti – è in atto una intensa battaglia dai risvolti non solo commerciali, ma anche di sicurezza. Sono molti i casi recenti che li vedono contrapposti e che vanno dallo stop all’acquisizione di MoneyGram per mano di Alibaba al “no” all’accordo tra AT&T e Huawei, passando per le tensioni con Zte e il divieto del Pentagono di vendere smartphone cinesi nelle basi militari Usa. Alla base di questa ostilità, ha commentato lo storico ed economista Giulio Sapelli parlando all’agenzia Cyber Affairs, ci sarebbe innanzitutto il fatto che l’espansione dei colossi tech di Pechino attira da tempo i “sospetti dei servizi d’intelligence occidentali”, che li ritengono “troppo legati al loro governo” con il quale potrebbero condividere informazioni sensibili. Una lettura che fa il paio con alcune valutazioni, messe nero su bianco in un report pubblico dell’Odni, secondo il quale l’attivismo informatico di Pechino (e non solo) rappresenterà, nel corso del prossimo anno, la maggiore minaccia cyber per la sicurezza degli Stati Uniti d’America.

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