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Libia, caos e petrolio. Quanto pesa l’economia sulla crisi

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Nella regione libica, quello che era apparso un focolaio si è ormai tramutato in un vero e proprio incendio. E i pericoli, ora, corrono nuovamente sia sulla rete elettrica che negli impianti petroliferi. Mentre la compagnia elettrica libica ha reso noto che negli scontri a Tripoli è stata colpita una centrale della potenza di 100 megawatt, costringendo i tecnici a abbandonare l’impianto per i danni provocati, le guardie petrolifere libiche che fanno capo alla Noc (National Oil Corporation) hanno annunciato la chiusura dell’aeroporto degli impianti petroliferi di al Wafa. Una mossa pericolosa e astuta, ricollegabile, secondo Agenzia Nova a uomini legati a capi milizie come Khaled e Abdullah al Wakuak. Lo scopo sarebbe quello di esercitare pressione su quest’ultima per fare investimenti e firmare contratti nel loro interesse.

I dubbi e le perplessità che attraversano la mente, oltre all’apprensione per gli investimenti italiani nella regione, come quelli dell’Eni, portano a pensare che se dovesse protrarsi la chiusura dell’aeroporto, come conseguenza si avrebbe anche lo stop di tutte le attività negli impianti e dei lavoratori. Questo, conseguentemente, provocherebbe una sospensione del rifornimento di gas verso la centrale elettrica principale della Tripolitania, oltre, ovviamente, all’interruzione della produzione petrolifera.

Un danno enorme, se consideriamo che il sito di al Wafa, gestito dalla compagnia Mellitah gas and oil, con cui per l’appunto Eni ha dato il via ultimamente alla seconda fase del progetto offshore Bahr Essalam, produce 40 mila barili di petrolio al giorno, oltre a 400 milioni di piedi cubi di gas naturale che servono a rifornire le centrali elettriche della zona. La risposta della Noc, in ogni caso, è stata quella di chiedere ai miliziani di consentire la riapertura dell’aeroporto senza condizioni, non intendendo trattare con loro sotto pressioni e operando unicamente nell’interesse della Paese.

Intanto a Tripoli continuano a susseguirsi, rapide, le violazione del cessate il fuoco. Nella zona sud di Abu Slim, sempre nella capitale, le forze di sicurezza che fanno capo al governo internazionalmente riconosciuto di Al Serraj, sono state costrette alla ritirata da un pesante attacco della milizia al Sumud, guidata dal miliziano islamico Salah Badi. Quest’ultima, secondo la denuncia di una brigata fedele al governo di Tripoli, starebbe inoltre utilizzando missili Graad, lunghi più di due metri e con una notevole potenza esplosiva. Tutto questo contro i quartieri maggiormente popolosi della capitale, con effetti tanto immaginabili quanto tragici.

E mentre il Paese si risveglia sotto colonne di fumo e tensione ai massimi livelli e anche il piano per le elezioni acquista contorni confusi, Serraj, che ieri aveva rinunciato al suo viaggio al Palazzo di vetro di New York, ha annunciato l’introduzione di una nuova imposta del 183 per centro sulla vendita di valuta estera. L’Onu, d’altronde, attraverso le parole dell’inviato speciale Ghassan Salamè, ha chiarito che chiederà al Consiglio di Sicurezza l’introduzione di modifiche al piano d’azione per porre fine al conflitto nel Paese.

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