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Vi spiego che cosa ha spinto Confindustria a passare al contrattacco. Parla Jannotti Pecci

Non sono stati mesi facili per Confindustria. Alle prese con stati d’animo sempre diversi, man mano che lo spread saliva e che Lega e Movimento Cinque Stelle cercavano l’equilibrio. Prima dell’avvento del governo gialloverde, la paura mascherata da rabbia in seguito alla divulgazione delle misure del contratto. E dunque, un’assemblea (fine maggio) che più infuocata e velenosa non poteva essere. Poi, verso la fine dell’estate, la distensione e le prove di dialogo. C’era la manovra da scrivere e valeva la pena tentare di tendere una mano a Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Era finito, si disse, il tempo delle critiche, per Viale dell’Astronomia bisognava almeno provare a dare un po’ di credito al governo del cambiamento.

Oggi, due mesi dopo, tra Palazzo Chigi e Confindustria il meccanismo si è di nuovo inceppato. Di acqua sotto i ponti ne è passata però. Uno spread mai veramente sceso che ha eroso i patrimoni delle banche oltre che deprezzato i titoli pubblici. Un downgrade (Moody’s) e diverse previsioni di crescita riviste al ribasso (qui le ultime stime del Centro Studi Confindustria), tra cui quella di Standard&Poor’s. In mezzo, una manovra a tutto deficit che ha innescato lo scontro con l’Europa e una rosa di grandi opere messe seriamente in discussione, a cominciare dalla Tav. Infine, robusti tagli alla riforma dell’Industria 4.0 targata Calenda-Bentivogli e che gli industriali aspettavano da tempo e che ora si prepara a trasformarsi nell’ennesima delusione. Troppo, anche per la paziente Confindustria. La quale oggi, per bocca del suo presidente Vincenzo Boccia, ha detto formalmente basta perché è tempo di battere un colpo.

Il numero uno di Confindustria ha di fatto messo in atto una vera e propria mobilitazione che avrà il suo battesimo a Torino, con una grande convocazione delle associazioni territoriali. C’è da chiedersi a questo punto che cosa abbia spinto la più importante rappresentanza italiana a muovere in forze contro l’esecutivo gialloverde. Formiche.net lo ha chiesto direttamente a chi i corridoi di Confindustria li percorre molto spesso. Costanzo Jannotti Pecci, presidente di Federturismo, una delle maggiori federazione in seno a Confindustria. Tutto sta nello spiegare la genesi di tale svolta di Boccia.

“Partiamo da un dato di fatto. La base di Confindustria è arrabbiata, profondamente irritata da questo incomprensibile atteggiamento del governo. Reso ancora più incomprensibile dal fatto che non solo non c’è convergenza sui programmi, infrastrutture, crescita e Industria 4.0 tra tutti, ma non c’è stato nemmeno il minimo ascolto. Le parti sociali, e noi siamo quella più grossa e importante, senza nulla togliere alle altre, sono state letteralmente snobbate nel dialogo e nel confronto. E questo ha provocato per prima cosa questa frattura”, spiega Jannotti. “Noi non vogliamo fare inciuci, non vogliamo fare la concertazione e non vogliamo passare per un’élite. Vogliamo solo essere rispettati e ascoltati. E questa volta credo che lo saremo”.

“La nostra”, prosegue Jannotti Pecci “è la voce del sistema produttivo italiano e non può rimanere inascoltata. Non dico che si debba arrivare a delle proposte condivise ma almeno parlarne, è proprio questo fattore che è mancato. E finché non batteremo un colpo sarà sempre così”. C’è però qualcosa che ha dato l’ultima spinta a Confindustria. La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. “Sì, è la Tav. Da quella questione è partita la volontà di cambiare atteggiamento nei confronti del governo. Perché, diciamolo, si tratta di un qualcosa di indispensabile che sta diventando un problema ideologico e questo non è accettabile nella maniera più totale. Il governo non sembra essersi reso conto del fatto che parliamo di un corridoio europeo, dunque se si bloccano i cantieri non si fa un danno solo all’Italia, ma all’Europa tutta”.

Secondo l’esponente di Confindustria c’è all’origine di tutto il malessere confindustriale “la sensazione piuttosto profonda che il governo abbia sposato la filosofia della decrescita felice riportando il Paese indietro di decenni. La Tav per esempio sarebbe un’ottimo modo per cominciare a ridurre sensibilmente il trasporto su gomma, che sappiamo quanto inquina, oltre a fare bene al turismo. Un grande progetto di infrastrutture a cui l’Italia non può rinunciare”. Ma il governo sì, pare.

 


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