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La finta calma dell’Isis. Il terrorismo a tre anni da Parigi

terrorismo, Manciulli, Cia

I morti furono 130 e tra di loro anche un’italiana, Valeria Solesin. Parigi fu sconvolta da attentati in contemporanea e, nonostante il cruento attacco del gennaio precedente nella redazione di Charlie Hebdo, fu allora che l’Europa capì di essere un obiettivo dell’estremismo jihadista. Sono passati tre anni da quel 13 novembre 2015, tanti attentati hanno colpito diverse nazioni europee, altri sono avvenuti in territori distanti da noi e per questo considerati a torto meritevoli di minore attenzione, almeno sulla stampa. Il nemico è ormai conosciuto: ha quasi sempre le vesti dell’Isis, il Califfato, ma è ancora ben presente anche al Qaeda ed entrambi possono contare su gruppi affiliati in tante zone del mondo. Negli ultimi tre anni abbiamo conosciuto diverse modalità di attacco, dal coltello al veicolo lanciato sulla folla, alle armi da fuoco, e in alcuni Paesi (non tutti) è stata affinata la prevenzione che in Italia sta ottenendo ottimi risultati.

UNA FINTA CALMA

Visto che da parecchio non si verifica un attentato eclatante l’attenzione mediatica è calata, ma sotto la cenere c’è una brace fiammeggiante. È una calma finta. Limitiamoci solo agli ultimi tre mesi: il 20 agosto un algerino è stato ucciso dopo essere entrato in un commissariato in Catalogna armato di coltello e aver tentato di colpire un poliziotto al grido di Allah Akbar; il 31 agosto un afghano diciannovenne ha accoltellato due americani alla stazione di Amsterdam: ferito dalla polizia, era in Olanda con permesso di soggiorno tedesco; il 29 ottobre una trentenne laureata in inglese e disoccupata si è fatta esplodere nel centro di Tunisi ferendo 8 poliziotti e un civile: non c’è stata una strage perché la cintura esplosiva era artigianale; il 2 novembre l’Isis ha attaccato un autobus di pellegrini cristiani copti a 150 chilometri dal Cairo causando 7 morti e una ventina di feriti: i copti sono da anni nel mirino dei terroristi perché sostengono il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, senza dimenticare che tutti i cristiani sono obiettivo del Califfato; infine, il 9 novembre a Melbourne un trentenne somalo ha accoltellato e ucciso una persona e ferito altre due: la vittima è un ristoratore italiano, Sisto Malaspina, 74 anni, emigrato in Australia nel 1963. L’attentatore, poi ucciso, era noto alle agenzie di sicurezza australiane per contatti con gruppi estremisti nordafricani e aveva alcune bombole di gas sul suo furgone. Una recrudescenza dovuta anche alla riapparizione di Abu Bakr al Baghdadi con l’audio di 54 minuti diffuso il 23 agosto nel quale incitava a proseguire il jihad: non si può far passare per matti gli autori di quei gesti che sono, più banalmente, lupi solitari.

L’ISIS NON È SCONFITTO

Ai fatti di cronaca si aggiunge la realtà del teatro siro-iracheno. La sconfitta militare del Califfato non è definitiva: resta il problema di Idlib, la città siriana ultima roccaforte dei ribelli dove secondo l’Onu sono confinati 10mila foreign fighter che invece, secondo altre fonti, sarebbero più numerosi. Inoltre, nelle ultime settimane l’Isis ha realizzato diversi attentati in Siria, in particolare a Raqqa, dimostrando ancora vitalità e a questo si aggiunge il rischio, in parte già realtà, che l’Isis si riorganizzi altrove come alcune zone dell’Africa e l’Afghanistan e che da lì diriga le proprie attività in Europa.

LA PREVENZIONE E L’ITALIA CHE FA “SISTEMA”

L’organizzazione della sicurezza in Italia funziona da tanti anni e con l’emergenza nata con l’Isis ha ottenuto ulteriori successi migliorando relazioni e modalità investigative. Negli ultimi tempi, per esempio, è più proficua la collaborazione degli investigatori con la magistratura sia sul fronte della procura nazionale antimafia e antiterrorismo che su quello di diverse procure locali costrette a misurarsi con delicate inchieste. Non si finirà mai di sottolineare l’importanza del Casa, il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, nel quale convergono e si condividono le informazioni tra i vertici delle forze di polizia e dell’intelligence.

L’EFFICACIA DELLE ESPULSIONI E IL CONTROLLO NELLE CARCERI

Le espulsioni di soggetti che mettono a rischio la sicurezza nazionale sta avendo un’accelerazione costante a conferma che si continua a dragare il fondo del radicalismo presente in Italia e che i soggetti individuati costituivano, fino all’espulsione, una seria minaccia. L’ultimo è stato un tunisino rimpatriato l’8 novembre dopo aver scontato una pena nel carcere di Vicenza: è il numero 347 dal gennaio 2015, il numero 110 quest’anno quando si è già superata la cifra delle 105 espulsioni dell’intero 2017. Il monitoraggio nelle carceri, grazie alla Polizia penitenziaria, consente di individuare soggetti che si radicalizzano o che s’improvvisano imam, che esaltano gli attentati o che minacciano di compierne. Le indagini dell’antiterrorismo spesso cominciano con il verificare le posizioni di soggetti finiti nel mirino negli anni Novanta perché esiste ancora una rete composta da combattenti bosniaci delle guerre nei Balcani che sostengono i nuovi jihadisti.

L’ADDESTRAMENTO IN LIBIA E IL GIURAMENTO

Gli arresti più recenti, come quelli della scorsa primavera, hanno confermato il reclutamento e l’addestramento in Libia nei confronti di africani provenienti da diversi Paesi che vengono poi indirizzati a Sirte o verso l’Europa. In Libia prestano un giuramento collettivo di fedeltà ad al Baghdadi e c’è chi poi ne presta un secondo dimostrandolo con un video. È stato il caso del gambiano ventiduenne Alagie Touray, arrivato su un barcone dalla Libia nel marzo 2017 e fermato il 20 aprile di quest’anno a Napoli dove aveva registrato dei video con il telefonino nella mensa del centro di accoglienza. Quello che l’antiterrorismo non sa con certezza è se il proposito di un imminente attacco con un’auto sulla folla sarebbe stato attuato in Italia o in un altro Paese europeo. Touray era stato addestrato in Libia con un altro gambiano, Sillah Ousman, richiedente asilo fermato nel giugno scorso sempre nel Napoletano e anche lui pronto a compiere un attentato.

LE “BARCHE FANTASMA” E I RICHIEDENTI ASILO

Crollati gli arrivi dalla Libia, da un po’ di tempo il rischio maggiore per l’Italia è rappresentato dalle cosiddette “barche fantasma”, piccole imbarcazioni che sfuggono ai controlli e che portano in Italia soprattutto tunisini o soggetti partiti dalla Tunisia. Se dunque in questi casi l’attenzione è prestata quando già sono sul nostro territorio, una fase delicata è quella delle richieste di protezione presentate nelle commissioni prefettizie dove i funzionari sanno di dover cogliere eventuali indici di anomalia.

Altro tema che diventerà centrale nei prossimi anni è quello della revoca della cittadinanza italiana a chi è condannato per terrorismo, norma compresa nel decreto sicurezza e sulla quale nelle scorse settimane sono stati espressi incomprensibili dubbi. La norma era sollecitata da tempo della Polizia di prevenzione del Viminale partendo da un concetto elementare: un immigrato che per acquisire la cittadinanza italiana giura sulla Costituzione non può giurare fedeltà anche al Califfato. È il caso eclatante di Elmahdi Halili, il giovane italo-marocchino arrestato dalla Polizia a Lanzo Torinese il 28 marzo scorso e autore del primo testo di propaganda Isis in italiano, già coinvolto in precedenti inchieste. Nei prossimi anni forse ci saranno diversi terroristi di seconda generazione e potrebbero essere espulsi con la revoca della cittadinanza.

LA COLLABORAZIONE INTERNAZIONALE

Lo scambio di informazioni c’è, ma si può sempre fare meglio, anche se non aiutano le continue riorganizzazioni degli organismi di sicurezza che qualche Paese europeo ha fatto troppo spesso negli ultimi anni. Uno spiraglio di luce sta arrivando dal Belgio che l’anno scorso ha revocato la cittadinanza a Malika el Aroud, vedova di Dahmane Abd al Sahar, uno degli assassini di Ahmad Shah Massoud, il Leone del Panjshir e nemico dei talebani ucciso in Afghanistan due giorni prima dell’11 settembre. Nonostante la “vedova nera del jihad” abbia presentato ricorso, sembra scontato il suo rimpatrio in Marocco. Stessa sorte che dovrebbe toccare a Fouad Belkacem, l’ex capo del gruppo Sharia4Belgium che reclutava combattenti da mandare in Siria: la magistratura belga pochi giorni fa gli ha revocato la cittadinanza e dovrebbe essere espulso in Marocco nel 2027, una volta scontata una condanna inflittagli in passato.

IL WEB E I LUPI SOLITARI

Tornando all’Italia, le difficoltà organizzative dell’Isis hanno ridotto l’efficacia della comunicazione mediatica che non raggiunge più la qualità e la diffusione di un tempo, ma che resta molto efficace anche se rozza. Il web è costantemente monitorato, dai siti più facilmente accessibili al “dark web”, perché il rischio costante è quello del singolo che decide di agire. È su questo che Polizia, Carabinieri e intelligence concentrano molti sforzi, oltre che su soggetti più organizzati che, com’è avvenuto in passato, erano arrivati a un passo dall’azione. Ma sono stati fermati prima.

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