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Biosimilari, l’industria dei farmaci e la tutela del paziente. Parla Massimo Scaccabarozzi

Sanità salute Farmindustria

Il recente paper “I biosimilari. La posizione delle aziende farmaceutiche” realizzato da Farmindustria fa il punto sulla situazione dei biosimilari alla vigilia della scadenza di molteplici brevetti di farmaci biologici ricordando però come, nonostante i biosimilari rappresentino una grande opportunità per il Sistema sanitario nazionale, non possano essere considerati uguali e sovrapponibili al farmaco originator. Abbiamo intervistato a tal proposito Massimo Scaccabarozzi, il presidente di Farmindustria.

Qual è il punto di forza dei farmaci biologici e biotecnologici? E perché, invece, i biosimilari rappresentano un’importante risorsa per il Sistema sanitario nazionale e, conseguentemente, per la collettività?

I farmaci biotecnologici sono farmaci, per dirla in parole semplici, che diversamente da quelli tradizionali, che prevedono una sintesi chimica, prevedono una sintesi biologica, ovvero una sintesi fatta con organismi o cellule viventi. Per questa ragione sono farmaci completamente diversi da quelli tradizionali; se la sintesi parte da una cellula non può essere in alcun modo replicata in maniera identica poiché ogni cellula è differente da un’altra. Per questa ragione un farmaco biosimilare non può essere considerato identico o sovrapponibile al suo originator, diversamente da quando avviene per i farmaci da sintesi chimica per cui, quando un brevetto scade, basta farne una copia equivalente o cosiddetta generica. Per i biosimilari, invece, servono approfonditi studi chimici, con annesso dossier regolatorio, che da un lato ne garantisce l’efficacia e la sicurezza, ma dall’altra parte indica inevitabilmente la sua non uguaglianza con l’originator.

Però il biosimilare consente un abbattimento dei prezzi…

In realtà non è il biosimilare a far risparmiare, come si tende a pensare, ma la scadenza del brevetto, che consente di creare, appunto, un similare dell’originator. Il brevetto, peraltro, serve a garantire alle case farmaceutiche un rientro economico degli investimenti fatti per creare un determinato farmaco. Se quest’ultimo non esistesse, difficilmente le case sarebbero motivate a investire in ricerca, poiché non guadagnerebbero nulla.
Certo, poi i farmaci biosimilari e le scadenze dei brevetti sono sicuramente una grande opportunità, ma si devono sempre usare le cautele necessarie affinché la scelta della sua eventuale prescrizione venga fatta, liberamente, da un medico.

Ma se sono simili, perché è così importante non considerarli sostituibili?

Proprio perché si tratta di farmaci biologici che, per loro natura, hanno interazioni importanti con l’organismo che li assume; interazioni che cambiano, inevitabilmente, tra un originator e un biosimilare poiché la cellula utilizzata non è la stessa.
La questione, peraltro, non riguarda in particolar modo i pazienti naive, ovvero coloro i quali vengono sottoposti per la prima volta a una cura per una determinata malattia, bensì quelli già in cura. Sul paziente naive il medico può decidere se prescrivere l’originator – qualora la ritenesse la soluzione migliore – o, ancora, il biosimilare – qualora ritenesse invece quest’ultimo più adatto al paziente –.
La questione tocca da vicino i pazienti già in cura e la sostituibilità fra originator e biosimilari, che non può essere effettuata a priori per ragioni puramente economiche o perché richiesta da un economo o un amministrativo della asl. A testimonianza di ciò, il fatto che valga anche nel senso contrario, ovvero per il passaggio da un biosimilare a un originator, qualora in una nuova gara quest’ultimo dovesse risultare il più economico.

Infatti, come spiegate nel vostro recentissimo paper, “la scelta di prescrivere un farmaco originator o un qualsiasi biosimilare dipende dalle caratteristiche individuali del paziente, che solo il medico può valutare in scienza e coscienza”. Il fatto che si sia però arrivati al punto di doverlo specificare non testimonia una grave distorsione del funzionamento del Sistema sanitario nazionale e del bilanciamento fra obiettivi economici e di salute?

Assolutamente sì, ma purtroppo non siamo noi a fare le scelte e possiamo solo continuare a ripeterlo. Il ruolo dell’industria è quello di mettere a disposizione i farmaci, ma il criterio economicistico deve prevalere solo quando non mette a rischio la tutela del paziente. Ci pensi: se io ho una malattia, voglio chiaramente essere trattato da un medico e non da un amministrativo, per cui deve essere il medico a prendere le decisioni e non gli economisti. Sta tutto lì. Poi, ovviamente, qualora i farmaci con cui posso essere curato sono esattamente uguali, cambia poco. Ma questo deve deciderlo il medico.

Talvolta, però, alcuni operatori (soprattutto nel pubblico), se non motivati tendono a spendere più del necessario. Lo stesso può accadere, purtroppo, anche in ambito sanitario. Al contempo, però, prevedere – come si è supposto – delle sanzioni per chi spende troppo o, ancora peggio, dei premi per chi spende meno, rischia di essere pericoloso…

Guardi, i medici da ormai quindici anni sono sottoposti a costanti pressioni affinché tengano conto del fattore economico nella scelta dei farmaci da prescrivere. Ma io non credo che un medico possa prescrivere un farmaco più costoso per il solo gusto di farlo. Un medico sceglie sempre il farmaco migliore per ogni paziente perché è il primo criterio, professionalmente ed eticamente, che gli si chiede si perseguire.
Eppure, oggi, ai medici viene costantemente chiesto – a priori – di scegliere il farmaco più economico. Mi auguro che a causa di queste pressioni non accada mai nulla di brutto, perché poi qualcuno dovrà assumersene la responsabilità e siccome, peraltro, la responsabilità delle prescrizioni è sempre del medico, non sarebbe giusto.

Quindi, quale può essere, secondo lei, una soluzione matura ed efficace?

La più scontata, ovvero quella di valutare un medico per i suoi indici di efficienza e per gli outcome di trattamento. È una follia invogliare un medico a usare il farmaco più economico affinché possa ricevere dei premi. È una follia ed è antietico.
Peraltro, ed è importante sottolinearlo, l’Italia è il primo Paese fra i grandi Paesi (Belgio, Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Spagna e Svezia) per l’uso di biosimilari nel 2017. Questo dimostra come i medici siano già autonomamente in grado di scegliere l’alternativa più economica se ugualmente valida.

Spesso i decisori politici e istituzionali si trovano a dover intervenire su questioni che solo gli addetti ai lavori conoscono davvero. L’importanza della continuità terapeutica e della personalizzazione della terapia sono solo alcune fra le più importanti. Ci vorrebbe forse maggiore comunicazione e collaborazione fra politica e operatori di settore e, soprattutto, un po’ più di umiltà – mi passi il termine – da parte di chi non è mai entrato in ospedale e non ha toccato con mano le esigenze reali dei pazienti?

Il decisore politico, purtroppo, non può conoscere la materia nel dettaglio così come un operatore che lavora sul campo. Per questa ragione credo sia fondamentale che il decisore politico, prima di fare una scelta, si avvalga delle competenze e della professionalità degli esperti.
Spesso però in ambito sanitario si prendono decisioni senza tener conto della realtà dei fatti, che conosce solo il medico o le associazioni dei malati. Quasi sempre al malato non viene data alcuna voce, ma sarebbe fondamentale farlo.
Certo, il paziente non può scegliere la propria terapia perché non ne ha le competenze, ma gli si deve dare la garanzia che il suo medico, di cui deve potersi fidare, la sceglierà non su basi economistiche, ma perché è la migliore terapia affinché possa guarire.
Il decisore deve sapersi mettere nei panni del malato e chiedersi: se fossi lui, cosa vorrei per me? E ogni tanto, forse, dovrebbe anche entrare in un ospedale e vedere con i suoi occhi cosa può voler dire fare una chemioterapia. Sono cose che non puoi capire finché non le tocchi con mano.



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