Abbiamo parlato del cambiamento climatico e degli enormi danni che rischiamo di provocare al nostro pianeta. Abbiamo capito che dobbiamo attivarci tutti – dalle grandi imprese ai singoli cittadini – per salvare la Terra dal riscaldamento globale e dalla catastrofe ambientale. Abbiamo scoperto che l’aumento di temperatura è causato dal rilascio di anidride carbonica e di altri gas serra prodotto dall’estrazione e dall’uso dei combustibili fossili.
Ma forse non abbiamo ancora notato che il nostro ecosistema è messo in pericolo dall’estrazione e dal rilascio di qualcosa d’altro. Qualcosa di ancora più impalpabile di un gas serra: i bitcoin e le altre criptovalute.
Infatti, una ricerca pubblicata su Nature/Sustainability ci mette in guardia di fronte all’enorme consumo di energia necessario per estrarre e mettere sul mercato queste valute virtuali.
A proposito, chi ha qualche dubbio su cosa siano bitcoin e criptovalute può dare un’occhiata qui. E chi volesse scoprire quanta energia consumano, può leggere questo articolo.
Ma torniamo al nuovo studio e facciamo i conti in tasca ai minatori. Per estrarre dalle miniere una quantità di rame pari a un dollaro, servono 4 milioni di Joule (MJ) di energia. Per capirci, è più o meno l’energia equivalente a quella necessaria per sciogliere dieci kg di ghiaccio, trasformarli in acqua e portarli fino all’ebollizione.
Con l’oro va un po’ peggio, per estrarne tanto da mettere insieme un dollaro spendiamo 5 MJ. Il Platino, poi, ci costa 6 Mj. Se confrontiamo questi consumi di energia con quelli necessari per estrarre un dollaro coi bitcoin scopriamo che ci servono ben 19 Mj, quasi quattro volte di più che per l’oro. E anche i consumi per estrarre le altre principali criptovalute non si distanziano di molto da quelli del Bitcoin.
Già un anno fa la International Energy Agency aveva pubblicato un rapporto in cui confrontava il consumo energetico necessario per produrre criptovalute confrontandolo con quello degli Stati.
Oggi, se il bitcoin fosse una nazione, sarebbe la quarantesima nazione al mondo per consumo di energia: si piazzerebbe fra l’Austria e il Cile. L’Italia consuma ancora circa quattro volte di più della “nazione” bitcoin, ma sta perdendo terreno.
Peggio di così è impossibile? Purtroppo no. È arrivato un secondo studio, pubblicato su Nature/Climate Change che rende ancora più buio il nostro futuro.
I dati sulla distribuzione delle fabbriche di bitcoin fra le varie nazioni sono stati analizzati in base a come ciascuna di queste nazioni soddisfa il proprio fabbisogno di energia distribuendo il carico fra i vari tipi di fonti fossili e rinnovabili.
Purtroppo buona parte di queste fabbriche si trovano dove l’energia costa meno, cioè in Cina e in Asia sudorientale, dove la principale fonte energetica è ancora il carbone, il combustibile fossile che inquina di più e che produce più anidride carbonica per energia prodotta.
Il risultato dello studio è che il solo bitcoin provocherà emissioni di anidride carbonica sufficienti da sole a fare aumentare la temperatura del Pianeta di 2 gradi centigradi entro un periodo compreso fra 11 e 22 anni.
Questo avverrà se le criptovalute verranno adottate come sistema di scambio monetario con la stessa rapidità con cui sono state adottate in passato altre innovazioni, come l’elettricità, i frigoriferi, Internet e le carte di credito.
L’unico modo per non buttare a mare in un colpo solo gli accordi di Parigi e gli sforzi che ogni nazione – e ogni cittadino – sta compiendo per limitare il più possibile gli sprechi di energia e l’uso di risorse fossili, sembra proprio quello di lasciare perdere la follia delle criptovalute e usare il meccanismo blockchain, che sta alla base degli algoritmi di generazione delle criptovalute, per altri scopi più nobili e meno disastrosi per la Terra.