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Perché l’Italia ha bisogno di un ministero dell’Innovazione. Parla Ferrieri (Angi)

Ripristinare un ministero dell’Innovazione potrebbe essere uno dei passi fondamentali per dare coordinamento ed efficienza ad alcuni dei progetti messi in campo dall’esecutivo gialloverde su tecnologie destinate a cambiare economia e società, come la blockchain e l’intelligenza artificiale.

A crederlo è Gabriele Ferrieri, presidente dell’Associazione Nazionale Giovani Innovatori (Angi) – organizzazione nazionale no profit dedicata al mondo dell’innovazione – che in una conversazione con Formiche.net fa il punto sulle prossime opportunità e sfide del digitale per l’Italia.

Ferrieri, il focus del governo attuale è su tecnologie innovative come blockchain e intelligenza artificiale. Come valuta questa scelta?

Il nostro è un punto di vista tecnico. In questo senso riteniamo giusto che ci si concentri su campi che rivoluzioneranno certamente la nostra economia e la nostra società. Non a caso Angi, nel suo manifesto presentato a maggio di quest’anno, ha incluso una proposta di legge per regolare le criptovalute a tutela del consumatore. Anche nella cerimonia di consegna dei premi Angi svoltasi alla Camera dei Deputati il 14 Dicembre, tra i vari argomenti presentati, è stata rilanciata anche questa visione. Ma è opportuno ricordare che la blockchain è una tecnologia versatile, che può essere applicata non solo alle cosiddette valute digitali, ma a tutta una serie di altri ambiti. Per questo abbiamo stretto un accordo con due società per portare in massima trasparenza le loro applicazioni innovative all’attenzione degli enti locali e delle istituzioni nazionali, in modo che possano valutarne, assieme alle altre, la possibile implementazione.

Che tipo di applicazioni derivanti dalla blockchain potrebbero essere utili alla PA?

Potenzialmente illimitate. La blockchain non è altro che un registro pubblico, che può essere modulato a seconda delle necessità. Funziona nei Bitcoin perché attraverso di esso si certificano le transazioni tra gli utenti. Ma i suoi campi di applicazioni vanno delle votazioni online al monitoraggio di infrastrutture, passando per gli smart contract.

Che cosa manca per rendere implementabili queste soluzioni?

All’Italia servirebbe, per questo come per altri aspetti, un unico organismo di e-government per PA, che possa coordinare e rendere trasversali le tante attività già in atto e quelle future. Mentre all’Ue servirebbe regolamentare le blockchain, in modo da creare uniformità su un piano comunitario. Se non si porranno in atto queste misure, tra qualche anno potremo trovarci in una situazione di sostanziale incomunicabilità tecnologica dentro e tra Paesi. In più questa incertezza sta causando una emorragia di competenze e aziende che preferiscono mercati più stabili e attraenti, lontani dal Vecchio continente. C’è poi un discorso più generale che riguarda l’innovazione in senso allargato.

A cosa si riferisce?

La rivoluzione digitale italiana deve combattere la miopia programmatica che l’ha contraddistinta fino ad ora. Consideriamo prioritaria, in tal senso, la reintroduzione di un ministero dell’Innovazione un dicastero che abbia su questi temi dei poteri trasversali in tutti gli altri. Non è vero, come si sostiene spesso, che ciò moltiplicherebbe i costi, anzi. Sarebbe una buona occasione per ridurli e rendere tutto più efficiente. E se proprio non ci si riuscisse, alcuni primi passi sarebbero rendere stabile l’Intergruppo parlamentare sull’innovazione o creare una cabina di regia dedicata presso il ministero dello Sviluppo economico. In Italia gli investimenti di venture capital stanno aumentando ed è il segno che qualcosa si muove. Ma questo trend va intercettato e assecondato con iniziative specifiche e coordinate.

L’Italia è indietro rispetto ai partner europei nel processo di digitalizzazione?

Direi piuttosto che procede a macchie di leopardo. Una delle prime azioni che abbiamo realizzato come Angi è stata quella di fare una mappatura dello stato delle cose. Abbiamo verificato che da un lato l’autonomia regionale ha permesso di avere eccellenze come Lombardia e Veneto. Dall’altro, però, servirebbe una guida che esportasse queste best practice anche in realtà che per varie ragioni faticano a stare al passo. In questo può essere decisivo il ruolo di AgID e Team per la Trasformazione Digitale, entrambi da pochi mesi con una nuova guida. Ma è importantissimo anche l’apporto dell’Europa. Per questo il 30 e il 31 maggio una delegazione dell’Angi è stata in missione internazionale a Strasburgo, dove ha incontrato eurodeputati, funzionari e dirigenti del Parlamento europeo.

Altre sfide che riguardano la Pa sono la cyber security e la protezione dei dati. Qual è la vostra opinione in merito?

Riteniamo fondamentale questi aspetti, sia in ottica di salvaguardia del know-how delle nostre aziende, sia per quanto concerne la privacy degli utenti. Crediamo che la dimensione nazionale possa poco in questo senso, se non destinare risorse economiche adeguate. Ma il processo deve essere europeo. Molto è stato fatto – penso alla Direttiva Nis e al Gdpr – ma la tecnologia corre veloce, ragion per cui è necessario che si strutturino meccanismi di aggiornamento e verifica continui.

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