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La Trump Foundation si dissolve. Colpo giudiziario contro il Presidente

Era il gennaio del 2017 quando il Washington Post pubblicò un articolo sulla Trump Foundation – la charity dell’attuale Presidente – con cui un suo giornalista, David Fahrenthold, vinse il Pulitzer 2017 per il “National Reporting” (la motivazione del premio diceva: “[…] per report persistenti che hanno creato un modello per il giornalismo trasparente nelle campagne elettorali, gettando dubbi sulle affermazioni di Donald Trump a proposito della generosità verso gli enti di beneficenza”).

Fahrenthold raccontava nel suo pezzo (è stato tradotto in italiano dal Post, quello di Luca Sofri) come all’inizio pensò di scrivere un pezzo veloce per far luce su alcuni fondi della T-Foundation che sembravano spariti, ma quello fu soltanto “l’inizio di nove mesi di lavoro, passati a cercare di dissotterrare la verità su una parte della vita di Trump che Trump voleva tenere segreta”.

Ieri, la procuratrice generale dello stato di New York, Barbara Underwood, ha annunciato ufficialmente che la Trump Foundation chiuderà – e la fondazione ha accettato di dissolversi. La fondazione filantropica del magnate newyorkese diventato commander in chief è accusata di attività illegali – “intenzionali e ripetute”, dice Underwood – volte a favorire “gli interessi imprenditoriali e politici di Trump”. Che è esattamente quello che il pezzo di Fahrenthold aveva scoperto.

A giugno la procura di New York aveva alzato una denuncia contro la fondazione, accusando Trump e i suoi figli (che l’avevano gestita) di averne usato i fondi non per motivi di beneficenza, ma per altri scopi – per esempio, in un paio di occasioni i soldi circolati nelle casse della charity sono stati usati per pagare patteggiamenti giudiziari che riguardavano gli affari dei Trump.

Inoltre, c’è l’accusa contro il Presidente di aver usato le attività benefiche e filantropiche della sua fondazione con scopi politici: per esempio, durante un comizio in Iowa, aveva invitato sul palco due rappresentanti di un gruppo locale di reduci di guerra per consegnargli un assegno gigante – simile a quelli che vengono dati ai vincitori di tornei di tennis o golf – riportante in calce la scritta “Make America Great Again”, ossia lo slogan della sua campagna elettorale.

Il Presidente aveva diffuso un tweet ufficiale sull’argomento, definendo le accuse “ridicole” (gli si contestava anche di non aver messo lui direttamente i soldi nel fondo di beneficienza, tra il 2005 e il 2008 non aveva donato nemmeno uno spicciolo, ma di averli raccolti da terze persone, e poi utilizzati a proprio piacimento).

Trump, oggi, ha affidato la sua difesa pubblica di nuovo a Twitter: tre messaggi con cui ha detto che la Trump Foundation stava facendo un “grande lavoro” e che “come al solito” sono stati i democratici e Andrew Cuomo (il governatore Dem di New York) ad averlo sbattuto davanti al giudice, e che la magistratura democratica si comporta in modo irregolare con lui.

Trump dice che la procuratrice generale Underwood sta facendo politica contro di lui, e tra poco le cose andranno anche peggio, ha annunciato, visto che la sua sostituta ha già dichiarato di avere un’agenda “Get Trump” (tutto in maiuscolo nel tweet). In effetti, Letitia James, la procuratrice che sostituirà Underwood (anche lei democratica), ha già dichiarato pubblicamente che userà “ogni area della legge per indagare sul presidente Trump, sulle sue transazioni commerciali e su quelle della sua famiglia”.

Quella sulla Trump Foundation è una delle tante questioni giudiziarie che Trump si trova davanti, e che i Democratici minacciano di spingere una volta preso il controllo della maggioranza della Camera anche attraverso inchieste parlamentari. Oggi è uscita una notizia bomba a proposito della decisione di Trump di far uscire dalla Siria i circa duemila uomini dei corpi speciali che combattono lo Stato islamico: è tutto da verificare, perché non è la prima volta che se ne parla e poi ci sono molti lati dell’amministrazione che sul punto, sostenuto dalla Casa Bianca, non concordano. La tempistica però è interessante: lasciare la Siria è uno degli annunci della vittoriosa campagna elettorale trumpiana, e ha un richiamo forte davanti ad alcuni inghippi legali.

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