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Caso Huawei, Trudeau licenzia il suo ambasciatore in Cina

Il primo ministro canadese Justin Trudeau ha licenziato il suo ambasciatore in Cina John McCallum. Già ministro della Difesa e dell’Immigrazione, McCallum era uno dei diplomatici più rodati e fidati dell’amministrazione Trudeau, che infatti nel 2017 gli aveva affidato la delicatissima missione in Cina, cruciale per trovare nuovi sbocchi commerciali e arginare i danni dell’America First di Donald Trump sul trattato del Nafta (North American Free Trade Agreement). In un comunicato dai toni telegrafici Trudeau ha lodato le qualità dell’ambasciatore limitandosi ad annunciarne le dimissioni consensuali, senza fornire ulteriori spiegazioni. Opinionisti e addetti ai lavori sono concordi nel collegare il licenziamento dal giorno alla notte a una serie di incaute dichiarazioni di McCallum sul caso Huawei nei giorni scorsi.

Il suo allontamanento è dunque l’ennesimo frutto della crisi diplomatica che dal 6 giugno, quando la vicedirettrice finanziaria e figlia del fondatore di Huawei Meng Wanzhou è stata arrestata a Vancouver con l’accusa di aver violato le sanzioni americane contro l’Iran, sta compromettendo i rapporti fra Pechino e Camberra. McCallum si era infatti reso protagonista di una serie di affermazioni sul caso Meng in pieno contrasto con la linea tenuta da Global Affairs Canada, la rete diplomatica canadese. Il 22 gennaio l’ambasciatore aveva parlato dell’arresto di Meng ai microfoni di un giornale locale a Markham, Ontario: “So che questo ha fatto infuriare la Cina, ma abbiamo un trattato di estradizione, un sistema di regole, che vanno al di là del governo. Il governo non può cambiarle e, come ho detto, credo che la signora Meng abbia buoni argomenti a suo favore”. Due giorni dopo, il 24 gennaio, McCallum ha fatto un passo indietro sostenendo di aver “parlato fuori luogo” e di aver “creato confusione”, salvo tornare sotto i riflettori il 26, quando secondo il giornale StarMetro Vancouver avrebbe sostenuto che la rinuncia degli Stati Uniti all’estradizione di Meng “sarebbe una grande cosa”. Questa la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La posta in gioco è troppo alta perché il governo canadese parli a più voci. “Non aveva altra scelta – ha spiegato a TheStar l’ex ambasciatore canadese in Cina Guy Saint-Jacques – è un momento sfortunato perché ora avremmo bisogno di avere tutte le mani sul tavolo”. Trudeau al momento non ha annunciato un sostituto.

Difficile però che la missione diplomatica a Pechino rimanga a lungo senza una guida. Entro il 30 gennaio gli Stati Uniti dovranno decidere se richiedere l’estradizione di Meng dal Canada. In una chiamata dell’8 gennaio, riferisce l’ufficio di Trudeau, il presidente Trump ha rassicurato il primo ministro sull’importanza del “rispetto dell’indipendenza giudiziaria”. Estradizione a parte, ci sono tanti dossier in sospeso che insidiano quel che resta dei rapporti fra Cina e Canada. La detenzione per “violazione della sicurezza nazionale” di un consulente e un ex diplomatico canadesi, Michael Spavor e Michael Kovrig. L’inattesa condanna a morte, il 14 gennaio, di Robert Schellenberg, cittadino canadese condannato in precedenza alla detenzione per spaccio internazionale e ora, dopo un clamoroso riesame all’indomani del caso Meng, avviato al patibolo. Senza contare le continue stilettate dei rispettivi ministeri degli Esteri, che avvisano i viaggiatori della “pericolosità” di un soggiorno nel Paese avversario, e la probabile decisione del Canada di escludere Huawei dall’asta per il 5G, decisione per cui, ha ammonito giorni fa l’ambasciatore cinese a Camberra Lu Shaye, “ci saranno ripercussioni”.

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