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Obiettivi e strategie dietro il viaggio del vicepremier cinese negli Usa

dazi, armistizio, cinese

Il capo dei negoziatori cinesi sul campo commerciale, il vicepremier Liu He, è a Washington per un nuovo round dei trade talks con gli Stati Uniti. Liu — che i media americani chiamano lo “zar” economico cinese per il peso che ha su certi dossier (il presidente cinese Xi Jinping gli ha conferito anche lo status di “inviato speciale” di Pechino) — domani vedrà alla Casa Bianca Donald Trump.

Nel giro di pochi mesi è il secondo incontro per il cinese col presidente americano (che, tecnicamente, dal punto di vista diplomatico, acconsente di ricevere un funzionario di un governo straniero di grado inferiore: non una banalità), mentre da oggi partiranno colloqui con controparti dirette. Previste per Liu e il suo team riunioni con il segretario al Tesoro americano, Steven Mnuchin, e il rappresentante commerciale degli Stati Uniti, Robert Lighthizer, e poi col falco anti-Cina Peter Navarro, assistente del presidente per le politiche commerciali.

Da martedì, delegati di livello secondario stanno conducendo colloqui secondo il quadro previsto da un accordo presidenziale stretto tra Trump e Xi a margine dell’ultimo G20, in cui l’americano ha imposto un ultimatum: o entro il primo marzo si trova un qualche genere di accordo tramite un percorso negoziale a step, oppure gli Stati Uniti alzeranno le tariffazioni doganali del 15 per cento, portando dazi al 25 su circa 200 miliardi di dollari di prodotti cinesi importanti. I vari passaggi dei negoziati prevedevano riunioni consequenziali all’esito delle precedenti: incontri da una parte e dall’altra, a Washington e a Pechino, da organizzare solo sotto buoni risultati raggiunti. Se siamo al punto in cui Liu è a Washington per la seconda volta nel giro di una mesata, dopo che delegazioni di livello inferiore si sono tenute in contatto costante, con i responsabili delle negoziazioni americani che sono stati in Cina una dozzina di giorni fa, significa che qualcosa si muove.

Secondo una fonte informata sul procedere delle discussioni che ha parlato anonimamente con Bloomberg, Cina e Stati Uniti starebbero per firmare una serie di memorandum di intesa su agricoltura (è un punto su cui gli Usa possono giocare per limare lo sbilancio commerciale), barriere non tariffarie, servizi, trasferimento di tecnologia e proprietà intellettuale (è un argomento considerato centrale per Washington, che accusa la Cina di furti di know how, ricerca e sviluppo). Questi faranno da base per un accordo commerciale più ampio e per ora avranno lo scopo di allungare un po’ i tempi dell’ultimatum che teoricamente scadrebbe la prossima settimana. Di questo nello specifico parleranno Trump e Liu.

Gli Stati Uniti chiederanno inoltre alla Cina di mantenere stabile il valore dello yuan “per neutralizzare qualsiasi tentativo da parte di Pechino di svalutare la propria valuta per contrastare le tariffe statunitensi”, secondo altre persone che hanno familiarità con i colloqui in corso sentite sempre da Bloomberg. E su questo sembra che la Cina abbia già dato un feedback positivo: il portavoce del ministero del Commercio ha detto in un briefing stampa che non è intenzione di Pechino toccare la valuta, e poi ha spiegato che non parlerà dei memorandum fino a che il round negoziale in corso non sarà concluso (ma ha implicitamente ammesso che ci sono).

Raccontare il procedere di questi contatti è un elemento fondamentale nello spiegare il corso che le relazioni tra Cina e Stati Uniti – le due prime economie del mondo, e le potenze dominanti – stanno seguendo. Il campo commerciale è un piano di sfogo del confronto a 360 gradi tra i due paesi, argomento che sta già dominando il dibattito internazionale su diversi dossier. Tema che, come la questione del 5G spiega, è di fondamentale importanza anche per gli equilibri interni ai singoli Paesi (per esempio: sul 5G, l’evoluzione della tecnologia mobile che permetterà grossi sviluppi in vari campi, Washington sta cercando di costruire un fronte compatto per evitare che la Cina entri con le proprie tecnologie nei tessuti infrastrutturali di Paesi alleati.

Quello del Commercio diventa dunque un campo di battaglia in fin dei conti potabile, perché non coinvolge le armi, tra Washington e Pechino: il loro scontro è il tema centrale che riguarderà la politica estera del prossimo medio-termine. Un accordo sul campo commerciale (su cui Trump ha speso capitale politico chiedendo la riduzione del deficit commerciale), così come una cooperazione diplomatica sul dossier nordcoreano, potrebbe essere un elemento di contatto in grado tra le altre cose di rassicurare i mercati di tutto il mondo (che sono in stand by fino a marzo, per seguire l’esito delle trattative).



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