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Fake news e nazionalismi, quale ruolo per i think tank

Quale ruolo possono avere i think tank nel contrastare il fenomeno delle fake news, cifra di un’era segnata – in Europa e nel mondo – dal ritorno dei nazionalismi?
Questo importante quesito è stato il filo conduttore di un dibattito (qui le foto di Umberto Pizzi) partecipato da Iai, Ispi e Ecfr presso l’Associazione della Stampa Estera, in un evento inserito all’interno dell’iniziativa “Why Facts and Think Tanks Matter”, promossa contemporaneamente in oltre 120 città del mondo dalla University of Pennsylvania.
Moderati dall’editorialista del Corriere della Sera Franco Venturini, i relatori – rappresentanti di grandi “pensatoi italiani, del giornalismo, delle istituzioni e del mondo delle imprese – hanno riflettuto su cosa possano fare oggi i think tank per stare al passo coi tempi e parlare ad un pubblico più ampio, assolvendo alla loro funzione di finestra sul mondo mantenendo intatta la loro autorevolezza.

I THINK TANK AL SERVIZIO DEL GOVERNO

Per Armando Barucco, a capo dell’Unità di Analisi, Programmazione, Statistica e Documentazione Storica del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, il ruolo dei think tank assume oggi una rilevanza particolare in un contesto dove c’è bisogno di una vision in politica estera “non solo complessa, ma anche complessiva”. L’Italia, in quanto media potenza regionale, nonché culturale ed economica, proprio in virtù della sua posizione ha bisogno di istituzioni con una visione matura della politica estera. Appare chiaro, ha rimarcato Barucco, che i pensatoi siano quindi indispensabili per informare ed approfondire tematiche che vanno al di là della capacità dei singoli diplomatici. Diffondere e comprendere le motivazioni che stanno alla base di decisioni fondamentali di politica estera italiana è un imperativo se l’Italia vuole dare l’idea di difendere i propri interessi nazionali, centrali proprio perché bipartisan. Come tutelare gli interessi del Paese, infine, è secondo Barucco una questione complessa, che richiede analisi prive di ideologia, ricerche su rapporti causa-effetto che solo un centro di ricerca specializzato può elaborare. Nonostante, ha concluso, i pilastri della politica estera italiana, ovvero europeismo, atlantismo, mediterraneo e multilateralismo – espressione della potenza economica con aspirazioni globali quale è il nostro Paese – non siano fondamentalmente mutati con gli anni, è cambiato il modo di riflettere su di essi. Bisogna, infatti, ragionare su questi quattro aspetti con una visione pragmatica che non faccia previsioni sulla base di orientamenti politici. Altrimenti, ha aggiunto, si rischia di ripetere l’errore di alcuni think tank di rilevanza mondiale che hanno preso nel tempo diverse “cantonate”.

IL LEGAME TRA DIFESA E RICERCA

Questa attenzione verso la ricerca e l’analisi su grandi tematiche politiche e geopolitiche mondiali è importante tanto più in un settore come la difesa, e in particolar modo per un gruppo come Leonardo che conta più dell’80% del proprio fatturato all’estero. Paolo Messa, Direttore delle Relazioni Istituzionali Italia, ha sottolineato come per le aziende globali nel settore della difesa non sia possibile ignorare cosa sta accedendo al mondo e quali scenari sono previsti per il prossimo futuro. Decodificare la complessità dei fenomeni mondiali diventa sempre più importante in un contesto economico globalizzato, così come la conoscenza specifica di temi di rilevanza industriale indispensabili a gestire accordi e intese con tutti gli stakeholder. Bisogna conoscere il proprio interlocutore per dare vita ad un dialogo costruttivo, comprenderne le ragioni e le necessità, e questo tipo di analisi, prodotte con professionalità dai think tank italiani – ha concluso Messa – sono una condizione essenziale che permette di passare dal policy making al decision making.

LA GEOPOLITICA DELLA POSTVERITÀ

Ma nell’epoca in cui la realtà viene continuamente messa in discussione, il processo di analisi e ricerca richiede anche una certa velocità. La disinformazione agisce nell’era della “postverità” in maniera ancora più profonda e rapida di quanto non accedesse qualche anno fa, dove i target delle cosiddette “bufale” erano spesso solo i cittadini. Adesso – ha sottolineato Marco Alberti, alla guida dell’ufficio International Institutional Affairs di Enel – il quadro è più complesso. In un mondo in cui il confine tra verità e menzogna è sempre più labile, per il manager diventa imprescindibile per le grandi realtà aziendali affidarsi a chi è in grado di approfondire aspetti che un dipendente o un dirigente d’azienda non approfondirebbe. In tal senso, il think tank fa molto più che creare un valore, crea un “co-valore”, incrociando competenze e fornendo non la notizia in sé, ma la capacità di saperla leggere.

COSA FA UN THINK TANK?

Riccardo Alcaro, coordinatore delle Ricerche e responsabile del programma “Attori globali” dello Iai, ha approfondito invece le prerogative dei think tank. In primo luogo, ha rimarcato, non si fa informazione nei centri di ricerca, bensì si analizza la stessa in maniera non esclusivamente teorica, aspirando a portare questo lavoro su un tavolo decisionale. Non avendo alcun ruolo istituzionale, il think tank opera (o almeno dovrebbe) in totale autonomia, e solo in via conclusiva i risultati di questo lavoro possono contribuire o meno ad orientare le politiche nazionali. Produrre raccomandazioni politiche, partecipare a processi decisionali, produrre un impatto diretto: queste fattispecie – ha detto Alcaro – sono tutte considerevolmente rare, circostanze contingenti che avvengono solo nel punto di massimo successo del ricercatore. Il più delle volte, in realtà, il contributo che i funzionari diplomatici e i politici chiedono ai think tank non è indicare quale politica applicare, ma piuttosto produrre un quadro generale del contesto in cui si andrà ad agire. Il think tank, ha affermato Alcaro, racconta una storia più grande e approfondita di quella che conosce il diplomatico o il manager, e lo aiuta a collocare la sua azione in un contesto più ampio. La rivoluzione di questi anni – ha concluso – è che anche la società civile inizia a porre domande ai think tank, domande semplici a cui la popolazione, che in questo periodo non sente che le sue necessità siano state sufficientemente salvaguardate dalle élite – non aveva mai rivolto attenzione fino ad ora, come gli interessi dell’Italia nell’Unione Europea, o le misure di realpolitik in diverse aree strategiche.

ENTRARE NELL’ARENA

Partendo dalla crisi del ruolo di intermediazione del giornalismo e dalla questione delle fake news, Antonio Villafranca – coordinatore delle ricerche e co-direttore dell’Osservatorio Europa e Governance Globale Center on Europe & Global Governance dell’Ispi – ha previsto un ruolo sempre più dirimente per i think tank in Italia. L’imparzialità, l’integrità e la profondità delle analisi di un centro di ricerca – ha evidenziato – sono qualità uniche, che devono essere portate al centro dell’arena di dibattito politico. È fondamentale, in tal senso, scardinare qualsiasi ideologia pregressa del ricercatore. Né europeismo né euroscetticismo, ha detto, bensì un “europragmatismo” che sia in grado di riqualificare il ruolo dell’Unione Europea in un momento di crisi sociale anche e soprattutto ammettendo come molte decisioni prese a Bruxelles abbiano aumentato le disuguaglianze sociali. Secondo l’esperto, il think tank non deve fuggire bensì accettare la sfida posta dai sovranismi, facendo fact checking a prescindere dalla natura del governo in carica, poiché i grandi pilastri dell’interesse nazionale italiano sono sempre gli stessi a prescindere da chi sia al potere.

COOPERAZIONE, NON COMPETIZIONE

Chiudendo i lavori, Silvia Francescon, direttrice dell’European Council on Foreign Relations in Italia, si è invece concentrata sull’odierna assenza di filtri nella comunicazione politica. Secondo l’esperta, i think thank devono essere un faro di serietà e credibilità in un mondo in cui la comunicazione istituzionale assume toni particolari. Per i centri di ricerca – ha aggiunto – è importante uscire dalla logica della competizione, mentre è utile mantenere uno spirito di collaborazione totale che non subisca l’influenza delle ideologie.

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