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Cambiamenti climatici. Perché il Mediterraneo è a rischio

vertice libia mediterraneo

Il livello del Mar Mediterraneo si sta innalzando velocemente a causa del riscaldamento globale. Secondo le proiezioni dell’Enea, entro il 2100 migliaia di chilometri di coste italiane rischiano di essere sommerse, se non si attuano interventi di mitigazione e adattamento. L’innalzamento del mare è previsto intorno al metro e riguarda un po’ tutte le regioni che si affacciano sul mare per un’estensione di circa 5mila 700 chilometri quadrati, pari a una regione come la Liguria.

Le zone più a rischio sono: l’area nord adriatica compresa tra Trieste, Venezia e Ravenna; la foce del Pescara, del Sangro e del Tronto in Abruzzo; il lago di Lesina e Taranto in Puglia; La Spezia in Liguria; la Versilia e l’Isola d’Elba; la piana Pontina e la foce del Tevere nel Lazio; la piana del Volturno e del Sele in Campania; Metaponto in Basilicata; le aree di Trapani e Marsala; Gioia Tauro e Sant’Eufemia in Calabria; Oristano, Fertilia, Orosei in Sardegna. I porti più colpiti Venezia, Napoli, Cagliari, Palermo, Brindisi e Taranto.

Per contrastare questi fenomeni e per perseguire uno sviluppo sostenibile, Confcommercio e Enea hanno sottoscritto oggi un protocollo di intesa con l’obiettivo di realizzare “progetti e azioni comuni in settori strategici per lo sviluppo urbano e territoriale”, con particolare attenzione alla sostenibilità ambientale anche in chiave turistica.

“Il protocollo con l’Enea – ha sottolineato il Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli – rappresenta un passo importante verso quelle politiche di sostenibilità di due comparti, il turismo e i trasporti, che sono settori strategici per l’economia del mare. La blue economy comprende circa 200mila imprese, tra pesca, cantieristica, trasporti marittimi, turismo e attività di ricerca e rappresenta il 3% del Pil con oltre 880mila occupati”.

A livello internazionale, la valutazione degli impatti provocati dai cambiamenti climatici (innalzamento dei mari, inondazioni, tempeste, ecc.) è a tutti gli effetti una priorità nella pianificazione e manutenzione delle infrastrutture che vede coinvolti tutti gli attori interessati, pubblici e privati. Nel nostro Paese, secondo lo studio dell’Enea, questo non avviene. I nostri porti e le aree costiere più a rischio devono essere messi in condizione di poter fronteggiare l’innalzamento del mare con un’adeguata pianificazione degli interventi di manutenzione delle infrastrutture esistenti che delle nuove realizzazioni.

D’altra parte, la stessa “Strategia Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici” aveva già, nel 2015, posto l’attenzione su questi temi, indicando, tra i possibili percorsi di lavoro, l’aumento delle conoscenze in materia di infrastrutture e l’integrazione di questi concetti all’interno dei criteri di progettazione e manutenzione delle opere. Peccato che una inefficace integrazione ambiente-trasporti ha vanificato queste buone intenzioni.

“Con oltre 8mila chilometri di coste e l’80% dei propri confini sul mare – ha concluso Sangalli – il nostro Paese può diventare una palestra avanzata europea della politica marittima integrata, una politica che valorizzi innanzitutto la filiera dell’accoglienza turistica e il cluster marittimo portuale”.

“Nell’ottica della lotta ai cambiamenti climatici e del perseguimento di uno sviluppo sostenibile – ha ribadito il Presidente di Enea Federico Testa – l’accordo intende promuovere l’uso efficiente delle risorse favorendo la transizione verso un modello di economia circolare che comprenda il ciclo dei rifiuti, la gestione sostenibile della risorsa idrica e recupero di materia dal riciclo dei rifiuti. In questo quadro, Enea si impegna a fornire risorse umane e tecnologie per le attività di formazione per favorire esigenze e opportunità di innovazioni tecnologiche”.


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