Non si arresta lo scontro – ormai frontale e globale – tra Stati Uniti e Cina sul piano tecnologico e di sicurezza. Uno degli elementi più importanti della contesa è il ruolo di Huawei, telco della Repubblica Popolare ritenuta dall’intelligence e dall’amministrazione americane come un potenziale veicolo di spionaggio a beneficio delle autorità del gigante asiatico. Ma non è il solo.
IL CASO HUAWEI
I negoziati commerciali tra Washington e Pechino proseguono, ma l’attenzione nei confronti della compagnia di Shenzhen resta alta, anche sul piano giudiziario. Dopo le tensioni al Mobile World Congress di Barcellona e mentre la direttrice finanziaria della società Meng Wanzhou, figlia del potente fondatore Ren Zhengfei, resta in Canada (è accusata di aver violato le sanzioni contro l’Iran e per questo dovrà affrontare un’udienza riguardo alla richiesta di estradizione giunta proprio da parte statunitense), i rappresentanti del colosso tecnologico cinese e della consociata Usa – racconta Voice of America – si sono presentati ieri mattina di fronte alla corte federale di Seattle, per rispondere alle accuse di furto di segreti commerciali, oltre a quelle di frode e ostruzioni di giustizia (il giudice distrettuale capo statunitense, Richard S. Martinez, aprirà formalmente il caso il 2 marzo 2020). Senza contare l’opera di sensibilizzazione avviata dagli Usa (nella quale si sta spendendo molto il dipartimento di Stato americano nelle sue varie articolazioni, a partire dal capo della diplomazia Usa Mike Pompeo), mirata a trasferire a partner e alleati i dubbi statunitensi sul 5G Made in China e i potenziali rischi per la sicurezza comune, soprattutto per ciò che riguarda Paesi che ospitano basi Nato sul loro territorio (ad esempio l’Italia).
LA CAMPAGNA DELLA TELCO
Nel frattempo la telco cinese non è stata a guardare. Dopo aver inaugurato una nuova strategia mediatica che ha visto esporsi pubblicamente Ren dopo anni di silenzio per negare ogni accusa (cosa fatta anche dal governo di Pechino), Huawei ha avviato una vera e propria campagna volta a influenzare l’opinione pubblica e, in particolare, la stampa americana. L’azienda ha comprato una pagina pubblicitaria (descritta come una “lettera aperta”) sul Wall Street Journal, per offrire ai giornalisti americani di visitare i suoi quartieri generali di Shenzhen, nel Sud della Cina, la prossima settimana.
NON SOLO 5G
Ma le preoccupazioni Usa riguardo l’attivismo tecnologico cinese si spingono ben oltre il 5G. Da tempo Washington osserva da vicino i massicci investimenti che la Cina sta facendo in ambiti innovativi come l’intelligenza artificiale (soprattutto per quanto riguarda i suoi risvolti bellici). Secondo alcuni analisti, di questo passo, entro il 2025, potrebbe superare gli Stati Uniti.
Per questo il presidente Donald Trump ha firmato a febbraio un decreto esecutivo per porre i progressi nel campo dell’IA in cima alle priorità degli investimenti governativi Usa in ricerca e sviluppo. Ma, soprattutto, non a caso il Pentagono, che investe già in IA svariati miliardi di dollari, ha elaborato una sua strategia e ha già avviato un percorso di razionalizzazione e concentrazione dei suoi oltre 60 programmi già attivi che stanno applicando, in un qualche modo, l’intelligenza artificiale.
L’idea è maturata dopo diverse dichiarazioni preoccupate per gli investimenti di Pechino per sviluppare capacità in questo settore .
Ad agitare gli Stati Uniti, come testimonia un report realizzato dal think tank Usa Brookings Institution, è soprattutto il fatto che i cyber attacchi cedono sempre più il passo a nuove forme di guerra ibrida che alcuni Stati – Cina ma anche Russia, su tutti – starebbero mettendo a punto partendo dallo sviluppo di tecnologie come l’intelligenza artificiale, automazione e machine learning, combinato a un sapiente utilizzo di big data.
LE APP MADE IN CHINA
Proprio ai dati è legato invece uno dei timori più recenti di Washington, riguardante in particolare la crescente diffusione di app cinesi come TikTok (un social media, lanciato nel settembre 2016, che consente agli utenti di creare brevi clip musicali, ed eventualmente aggiungere degli effetti). È notizia delle scorse ore – riportata dalla Cnn – che, secondo un provvedimento della Federal Trade Commission, proprio TikTok avrebbe raccolto informazioni personali dei minori di tredici anni senza il consenso dei genitori. Per questo dovrà pagare una multa di 5,7 milioni di dollari. Ma il tema, al quale ha dedicato un’analisi Claudia Biancotti, economista della Banca d’Italia e attualmente visiting fellow presso il Peterson Institute for International Economics, potrebbe avere conseguenze ancora peggiori. La ricercatrice ha infatti rilevato come l’applicazione stia diventando molto popolare non solo tra i più giovani, ma persino tra le forze armate statunitensi. E questo porrebbe un sostanziale problema di sicurezza. Le app social raccolgono infatti molti dati sugli utenti: tali informazioni, nelle mani del governo cinese, potrebbero secondo la studiosa essere utilizzate per perfezionare il software e renderlo più facilmente sorvegliabile da Pechino. Con l’aiuto di questi social media le autorità cinesi potrebbero inoltre riconoscere meglio i volti occidentali o estrarre informazioni sulle attività militari. E in virtù di ciò, questo rappresenta, secondo gli esperti, un altro fronte tecnologico che dovrà senz’altro essere monitorato con grande attenzione.