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L’Italia non cresce. I dati Istat e il trionfo dell’incoscienza

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Il dato, fonte Istat, dice tutto: dal 2000 al 2016 la produttività oraria del lavoro è cresciuta, in Italia, dello 0.4%; nello stesso periodo è aumentata del 15% in Francia, Uk e Spagna; del 18.3% in Germania. Inutile chiedersi perché cresciamo meno degli altri. E, per la precisione, siamo fermi.

Dentro quel dato c’è la scarsa formazione della forza lavoro, le dimensioni troppo piccole delle aziende italiane, la latitanza della cultura manageriale, i mancati investimenti in innovazione, la satanica pressione fiscale, previdenziale e burocratica. E altre cose ancora, che descrivono le sbarre con cui è costruita la gabbia in cui si è chiusa l’Italia.

A fronte di questo di che discutiamo? Di come si fa ad andare in pensione prima e a guadagnare senza lavorare, cioè di come aggravare quella condizione miseranda, gravando di ulteriori costi l’Italia che, nonostante tutto, cammina e corre. Perché esiste, naturalmente, ma di quella nessuno si cura, se non per spremerla. Come se il successo e il guadagno fossero delle colpe.

Mentre questo accade, e in coerenza con l’impostazione irreale del discorso pubblico, il debito pubblico, che in valore assoluto non ha mai smesso di crescere, ha preso a correre a un ritmo doppio rispetto all’immediato passato. Questo senza che sia stato speso un centesimo in investimenti, che, naturalmente, tutti dicono di volere e tutti, a turno, tagliano per ricavare maggiori spazi alla spesa corrente. La novità consiste nel fatto che, ora, di bloccare i lavori programmati ci si fa un vanto, anziché sentirne la vergogna.

Il veleno non è solo la continua, fastidiosa, ossessiva campagna elettorale, ma il fatto che sia condotta su piani irreali, fuggendo dalla urticante chiarezza di quei dati, illudendo e illudendosi che prevalere sull’avversario cambi qualche cosa del quadro in cui ci muoviamo. Una specie di simposio dell’insipienza e trionfo dell’incoscienza.


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