Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

L’Italia sulla Via della Seta preoccupa anche l’Ue. Parla Nicoletta Pirozzi (Iai)

Mentre il presidente cinese Xi Jinping arriva in Italia per dare il via a una tre giorni che dovrebbe contemplare anche la firma del discusso memorandum d’intesa tra Roma e Pechino sulla nuova Via della Seta, oggi a Bruxelles i capi di Stato e di governo dei Ventotto discutono le relazioni fra l’Unione Europea e la Repubblica Popolare.
Sul tavolo del Consiglio Europeo, anche se non deve ancora approvarla, c’è la bozza della dichiarazione conclusiva del vertice dell’Ue con Pechino, previsto a Bruxelles per il 9 aprile. Si tratta di un documento molto articolato, che prevede un forte impulso alla collaborazione e ad accordi di reciprocità fra le due parti in diversi ambiti e settori, con un accento particolare sulla “connettività”. Tuttavia, anche in sede europea, non assente la preoccupazione per l’intesa che porterebbe un membro fondatore dell’Unione nonché Paese del G7 a avallare, nero su bianco, i piani espansionistici della Cina.

I MESSAGGI EUROPEI

“Una volta resa nota la volontà italiana di siglare questo accordo con la Cina”, commenta a Formiche.net Nicoletta Pirozzi, responsabile del programma ‘Ue, politica e istituzioni’ dell’Istituto Affari Internazionali (Iai), “dalle istituzioni comunitarie sono partiti diversi messaggi che invitavano il governo di Roma alla cautela e a tenere ben presenti quali sono i rischi che potrebbe comportare un rapporto troppo stretto con Pechino, soprattutto se condotto in modo disallineato rispetto ai partner”.
Proprio ieri, una fonte del Consiglio europeo aveva reso noto che l’incontro di oggi per preparare il documento del vertice del 9 aprile sarebbe servito anche per tentare di definire il modo in cui i vari Paesi presenteranno le loro posizioni nazionali nei confronti della Cina negli altri contesti, con un chiaro riferimento alle intese con Pechino già siglate o che lo saranno prossimamente, da parte di diversi Stati membri. Ad esempio l’Italia.

I TIMORI DI BRUXELLES

Arrivando a Bruxelles per il vertice di oggi il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha provato a rassicurare. “Informerò i miei partner su quello che stiamo facendo, ma è ovvio che siamo in pieno accordo, non c’è nessun problema”, ha detto. Tuttavia, evidenzia l’analista dello Iai, nel Vecchio continente “c’è la consapevolezza che la Cina abbia portato avanti in questi anni una politica orientata volutamente a stringere accordi bilaterali o al massimo regionali, con l’obiettivo di spaccare l’Ue su temi rilevanti come quelli commerciali e di sicurezza. Basti vedere cosa è accaduto in Grecia con il porto del Pireo. Perciò le istituzioni comunitarie temono che la Belt and Road Initiative (Bri) possa essere per la Cina un modo per sfruttare le vulnerabilità che in questo momento caratterizzano l’Italia dal punto di vista economico e politico. E, attraverso di esse, entrare nel cuore dell’Europa e intaccare, nel suo complesso, la strategia europea nei confronti di Pechino”.

IL TEMA SICUREZZA

Un capitolo a parte meritano il discorso telco e le possibili ripercussioni di sicurezza derivanti da un ruolo di colossi cinesi come Huawei e Zte nell’implementazione delle reti superveloci della Penisola, una circostanza che preoccupa gli alleati. Ieri il Consiglio dei ministri ha varato un ampliamento della Golden power anche agli acquisti da parte di imprese, pubbliche o private, aventi ad oggetto beni o servizi relativi alla progettazione, alla realizzazione, alla manutenzione ed alla gestione delle reti di comunicazione elettronica basate sulla tecnologia 5G, quando posti in essere con soggetti esterni all’Unione europea. La questione non è direttamente collegata all’accordo sulla Via della Seta (dal quale dovrebbero essere escluse le telecomunicazioni, come invece sarebbe emerso in una bozza circolata nei giorni scorsi). Nonostante ciò, nella lettera aperta inviata da Xi al Corriere della Sera alla vigilia del suo arrivo a Roma c’è ancora un netto richiamo alle telecomunicazioni, come riportato in precedenza da Pechino e come sottolineato anche ieri in un’intervista in cinese dall’ambasciatore in Italia Li Ruyiu.

Inoltre, il tema è strettamente connesso al rapporto che Bruxelles, anche in considerazione del ‘warning’ americano, intende costruire con Pechino. Una linea, questa, che sarà delineata in una raccomandazione che dovrebbe presentare prossimamente la Commissione europea, ma che sembra in piena sintonia con Washington. C’è una legge cinese che obbliga “tutti i produttori, software o hardware, a collaborare con i servizi di intelligence”, ha detto il vicepresidente di Berlaymont, Andrus Ansip, [quindi abbiamo] “alcune preoccupazioni che derivano direttamente dalla tecnologia 5G. Dobbiamo porre più attenzione alla valutazione dei rischi – ha aggiunto – per ragioni connesse a questa nuova tecnologia e nello specifico pensando alla Cina. Dobbiamo essere preoccupati quando alcune aziende devono cooperare con i servizi d’intelligence”.

Politica continentale e domestica si sono mescolate invece nelle parole di Antonio Tajani, presidente del Parlamento Europeo, esponente del Ppe, ma anche vice presidente di Forza Italia che sul tema del possibile coinvolgimento di aziende di Pechino nella nuova rete mobile superveloce non ha lesinato un commento duro e diretto, criticato soprattutto dalla parte pentastellata della maggioranza. “È un grave errore quello che sta facendo l’Italia” sulla Cina, “bisogna fare accordi a livello europeo” e “fare accordi anche confrontandosi con gli Usa. Con la scusa di esportare il made in Italy”, ha sottolineato, “non si può cedere sovranità ai cinesi”. Poi ha aggiunto: “Il 5G è un errore gravissimo darlo ai cinesi, questo non significa non avere buone relazioni”, i cinesi “fanno i loro interessi” e “noi non facciamo i nostri”.
Entrambi i dossier – tanto la Bri quanto il 5G – sono, con sfumature diverse, da tempo all’attenzione dei servizi segreti italiani, che dei rischi connessi alla pervasività dell’elemento tecnologico e dei risvolti del progetto infrastrutturale e politico per collegare Pechino all’Eurasia hanno parlato anche nell’ultima relazione del Dis al Parlamento, presentata a fine febbraio dai vertici del dipartimento alla presenza dello stesso Conte (che ha, tra l’altro, la delega al’intelligence e che, proprio sulla questione 5G, è stato ascoltato recentemente dal Copasir). Tutti i suggerimenti, negli anni, non sembrano però aver trovato ascolto dagli esecutivi che si sono succeduti e lo stesso pare accadere oggi.
“Manca ancora”, rimarca Nicoletta Pirozzi, “un approccio strategico nei confronti di Pechino. Si è preferito adottare, in tutta Europa, una postura difensiva, piuttosto che agire proattivamente”. Ora è troppo tardi per farlo? “Non lo è, ma sta agli Stati membri muoversi compatti, sostenendo le proposte della Commissione e elaborando una strategia comune nei confronti della Cina”.

×

Iscriviti alla newsletter