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Non sarà col nostalgismo pre-Lingotto che il Pd tornerà a vincere. La versione di Nobili

“Impediamo la grande smemoratezza del Pd, non sarà certo col nostalgismo pre-Lingotto che si tornerà a vincere. Nessun dialogo con chi ha fatto la guerra al Pd e ai governi dem”. Questo il messaggio che il deputato renziano Luciano Nobili invia al suo partito e ai sostenitori di Nicola Zingaretti, certo che dopo “essere stato chiuso in garage per un anno dal 4 marzo ad oggi in attesa del nuovo corso”, adesso è giunto il momento per il Pd di evitare gli errori del passato.

Nobili in questo ragionamento con Formiche.net traccia l’identikit delle mosse da non fare, partendo da quel fuoco amico che, prima di azzoppare Matteo Renzi, venne puntato anche su Walter Veltroni.

Il dialogo di Zingaretti con gli scissionisti fa tornare indietro le lancette del Pd?

Punto primo: Zingaretti ha vinto le primarie ed è piamente legittimato ad avviare tutte le iniziative di interlocuzione che ritiene più giuste per il bene del Pd. L’eventuale dialogo con il M5S, che per noi equivarrebbe alla fine del Pd, è stato sempre smentito da Zingaretti durante la campagna congressuale. È stata anche questa la ragione per cui ci siamo candidati. Ma il suo braccio destro, il riferimento dell’area Piazza Grande, nonché vicepresidente della Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio, su Panorama ha rilanciato l’idea del ponte con i grillini in una maniera molto più esplicita rispetto a quanto fatto in precedenza. Mi auguro restino posizioni di Smeriglio e non diventino di Zingaretti.

Dialogare di nuovo con chi ha rotto: ha un senso politico o solo elettorale?

Chi ha scelto di uscire o di andare in un altro partito ha il mio rispetto, intendiamoci. Il partito non è una caserma, però gli esponenti di LeU e Mdp in questo ultimo biennio hanno costruito una guerra quotidiana non solo al Pd ma anche ai nostri governi in Parlamento. Hanno brindato alla sconfitta referendaria e soprattutto, anche grazie alla loro continua lotta contro il Pd, hanno spalancato le porte al trionfo dei populisti oggi a Palazzo Chigi. Per questo punto politico e non per mere ragioni statutarie, dico che non si può avere dialogo con chi ha prodotto il disastro di oggi. Non si può tornare insieme.

In Direzione avete avuto chiare rassicurazioni?

No, per questa ragione ci siamo astenuti. Io sono preoccupato: rispetterò evidentemente le decisioni del vertice del mio partito, ma dovremmo comporre una lista di grande apertura, come annunciato dal segretario, e invece vedo che Più Europa e Italia in Comune di Pizzarotti vanno per conto loro. Non vorrei che il nostro unico allargamento fosse verso esponenti indicati da D’Alema, Bersani e Speranza: sarebbe per noi un problema.

Con la nuova segreteria in molti hanno parlato di un ritorno del partito-dinosauro, con una forte cerniera di trasmissione con la Cgil: è così?

Zingaretti ha annunciato una rivoluzione nelle modalità organizzative del partito. Credo che tutto dobbiamo fare tranne che tornare al passato. Non penso dipenda lui, forse è un qualcosa che accade alle sue spalle e temo che ne sia una potenziale vittima. Non ho titolo per dargli un consiglio ma gli direi di guardarsi da alcuni suoi compagni di viaggio che, a differenza sua, puntano ad un confortevole ritorno ad antiche liturgie passate.

Come chi predica un dialogo anche con i comitati per il no al referendum renziano?

Vedo troppa nostalgia, oltre all’idea che, chiusa l’esperienza di Renzi, qualcuno voglia non migliorare il Pd, ma semplicemente dimenticare quattro anni della nostra storia per tornare a dove eravamo con un piglio pre Lingotto. La grande smemoratezza è proprio questa: abbiamo imboccato la strada delle primarie, di un Pd maggioritario, della coincidenza tra segretario e candidato premier, perché volevamo mettere fine a quei riti che ci avevano fiaccati e sconfitti: le dieci sigle o i mille partitini che di giorno governavano assieme e di notte sfilavano la tela. Qualcuno sta rianimando questo schema e, in tutta onestà, non credo sia intenzione di Zingaretti ma forse di alcuni suoi sostenitori.

Ha twittato ironicamente sui festeggiamenti per i secondi posti: di più non si poteva fare oppure ci si accontenta in questa fase?

Siamo stati afoni per un intero anno, chiusi in garage dal 4 marzo ad oggi e con i tempi attuali della politica è un fatto che nessuno può permettersi. In Basilicata abbiamo perso, c’è poco da fare o da dire: dobbiamo smetterla di non guardare la realtà. Si tratta di una Regione in cui governavamo ininterrottamente dal 1995. Raccontarci che abbiamo preso settecento voti più delle scorse politiche non credo sia la strada giusta per un partito con l’ambizione di tornare a governare il Paese.

Da queste colonne la senatrice Pezzopane ha detto che a nessuno augura di subire il fuoco amico che è toccato a Matteo Renzi. Che ne pensa?

Il Pd è stato ammazzato dal fuoco amico nelle sue due vicende più fortunate: l’era di Veltroni che dopo una prima sconfitta riuscì a costruire un percorso positivo con la straordinaria manifestazione del Circo Massimo e quella di Renzi che, tra il 2014 e il 2016, ha fatto segnare la fase in cui il Pd ha collezionato il maggior numero di vittorie nella sua storia tra europee, regionali e amministrative. Non lo dico per voler appuntare una medaglia politica a quella esperienza, solo per certificare che nessuno potrà mai governare il partito se ogni singolo giorno su ogni singolo provvedimento ci saranno due voci contrarie, a produrre quel massacro quotidiano che finisce in ogni talk show televisivo. Non dimentichiamo che nell’era renziana il vincolo di comunità esistente nel votare i provvedimenti decisi al Nazareno, durava solo il tempo necessario a scendere al piano terra della sede fino alla prima telecamera appostata.

twitter@FDepalo

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