Oggi viviamo in un mondo particolarmente disordinato, nel quale se utilizziamo l’approccio con cui vivevamo trent’anni fa non riusciremo a comprendere la realtà che ci circonda.
Nei giorni scorsi, in Polonia, ha avuto luogo un vertice internazionale promosso dagli Stati Uniti.Al tavolo, il Segretario di Stato Americano, con Paesi Europei e con i Paesi Arabi Sunniti. Il tema al centro del confronto: il contenimento dell’Iran. Contemporaneamente si è svolto un altro vertice tra Russia, Iran e Turchia. È utile ricordare che quest’ultima è anche un membro di primissimo livello della Nato. Qualche giorno fa il capo di Centcom ha fatto una dichiarazione pubblica affermando di non condividere la decisione della Casa Bianca di ritirarsi dalla Siria. Sempre qualche giorno fa, durante l’incontro tra l’Alto rappresentante per la politica estera europea, Federica Mogherini e il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, è stato deciso di comune accordo di non parlare né del Medio Oriente né dell’Iran. Tutto questo la dice lunga sulla situazione attuale e ci permette di capire facilmente in che mondo disordinato stiamo vivendo. In un tale contesto, l’Italia deve attrezzarsi per comprendere il mondo in cui si sta vivendo. Un mondo che non può essere letto con schemi del passato e che richiede una soluzione adatta ai tempi. In poco meno di trent’anni, che nella Storia sono un battito di ciglia, abbiamo vissuto un cambiamento incredibile. Siamo passati dal mondo bipolare al mondo unipolare degli anni Novanta, durante i quali vi era l’assoluta convinzione che l’Occidente avesse vinto la partita della “storia” e che il resto del mondo avrebbe dovuto uniformarsi a quei valori, quali la democrazia e la libertà, di cui oggi tutti parlano con grande preoccupazione. Poi siamo passati dal mondo unipolare al mondo multipolare.
Oggi siamo arrivati allo scacco della realtà multipolare. E pur avendo un gran bisogno di avere un’Europa e delle Nazioni Unite molto forti, non abbiamo nessuna delle due. Potremmo dire che entrambe le realtà sono percorse da brividi di freddo, non stanno benissimo. La verità è che siamo precipitati in un mondo “apolare”. Continuano ad esserci, ci sono grandi potenze economiche politiche e militari e, tuttavia non esistono più poli di riferimento permanente. Se questo è vero noi dovremmo cercare di definire delle linee strategiche all’altezza di questa sfida. In primo luogo, l’Italia deve muoversi dentro questo schema avendo un orientamento preciso, ossia quello di essere un Paese al contempo convintamente europeo e profondamente atlantico, scelta storica che l’Italia ha fatto e che ha sempre unito il paese in politica estera. Le due cose non sono mai state messe in contrapposizione e questa è stata la forza dell’Italia. Dovremmo cercare di non smarrire questo principio e dovremmo farlo per una ragione semplicissima, ovvero perché l’Italia ha bisogno di entrambi i riferimenti. Bisogna anche ricordare che il ruolo storico dell’Italia è stato quello di essere un Paese radicato in Occidente e che, tuttavia, ha sempre ragionato perché la sua verità fosse nell’essere anche un punto di congiunzione con l’Oriente, in particolare con la Russia. Questa è la collocazione strategica dell’Italia. Ma una cosa è definire l’Italia un Paese radicato in Occidente, che dialoga con la Russia, che punta ad essere inclusivo con essa. Altra cosa è apparire quasi un Paese dell’Est che vuole dialogare con l’Alleanza Atlantica. Perché se passiamo ad Est c’è qualcosa che non funziona. E questo non solo per l’Italia, ma per gli equilibri dell’intero pianeta.
L’Italia ha bisogno di tenere insieme due principi che io considero fondamentali: l’interesse nazionale, che non deve essere mai smarrito e la realtà sovranazionale. Il punto delicato è quello di cercare di tenere insieme interesse nazionale e realtà sovranazionale sapendo che oggi è possibile ed è fondamentale conciliare questi due interessi.
L’Italia, grazie alla sua collocazione strategica, ha bisogno del rapporto con gli altri. Noi siamo nel cuore del Mediterraneo, siamo un Paese che ha relazioni con tutti, siamo al centro del rapporto tra Europa e Africa ed Europa Medio Oriente.
È necessario, quindi, mettere in campo una capacità di costruire relazioni, anche qui strategiche, sapendo che se è vero che non esiste l’Europa senza l’altra parte dell’Atlantico, è tuttavia altrettanto vero che gli Stati Uniti hanno bisogno dell’Europa. Il rapporto che intercorre tra Stati Uniti ed Europa è un rapporto biunivoco. Se consideriamo la possibilità che gli Stati Uniti facciano la scelta di considerare il quadrante del Pacifico come un quadrante cruciale che necessita la loro presenza, allo stesso tempo la necessità di avere qualcuno che si occupi del Mediterraneo diventa più che mai evidente. Il Mediterraneo rappresenta un quadrante fondamentale per la stabilità del pianeta e a mio avviso è proprio l’Europa che deve svolgere il maggior ruolo nell’area, facendo di tutto perché gli Stati Uniti rimangano, in qualche modo, coinvolti in esso. Il possibile ritiro degli americani da quest’area del globo sarebbe un drammatico errore.
L’assetto strategico sul quale l’Europa si è costruita negli ultimi vent’anni, e cioè l’idea che l’asse fondamentale di sviluppo fosse verso l’Est, è oggi chiaramente insufficiente. Oggi la frontiera strategica dell’Europa è il Mediterraneo. L’Europa deve occuparsi del Mediterraneo, e quindi di conseguenza dell’Africa, perché è in questo continente che si giocheranno nei prossimi vent’anni tre partite decisive per il suo futuro.
L’Africa, infatti, è cruciale per tre grandi ragioni. Prima fra tutte, la questione relativa al governo dei flussi migratori. L’Africa, infatti, cresce impetuosamente dal punto di vista demografico mentre l’Europa cresce poco o ha una crescita negativa. Se tutto questo non viene governato, sarà difficilissimo gestirlo. In secondo luogo, l’Africa è centrale per quanto riguarda le questioni relative alla sicurezza dell’Europa: l’esito di Islamic State, i foreign fighters, il ruolo del Nord Africa nel prossimo futuro, la possibilità che possa diventare un safe heaven per coloro che scappano dalla Siria e dall’Iraq. Quello che succede in questo momento al confine sahariano, ad esempio, rappresenta un fortissimo campanello d’allarme. Per non parlare poi delle organizzazioni terroristiche autoctone presenti nel continente africano, spesso di matrice islamista. Infine, l’Africa è un terreno di gioco importante per quanto riguarda la partita delle materie prime, sia dal punto di vista strettamente energetico che per quello riguardante le nuove tecnologie.
Il ruolo dell’Italia è dunque quello di avere un doppio mandato: essere un punto di garanzia per le relazioni atlantiche e allo stesso tempo un punto di spinta verso l’Africa. Questa è insieme l’importanza e l’originalità del ruolo dell’Italia.
Appare evidente che l’Europa deve profondamente cambiare poiché non può affrontare la sfida che le si prospetta così com’è. Penso che l’Europa debba andare avanti e per questo, ad esempio, vedo il vertice di Aquisgrana non come un vertice contro l’Italia ma come un vertice senza l’Italia. Da italiano mi preoccupa e mi dispiace la pervicace ricerca di uno “splendido isolamento”. Da sola l’Italia è più debole e più fragile.
Suggerisco di fare molta attenzione ad interpretare sempre il ruolo del “brutto anatroccolo”. La “sindrome dell’abbandono” non è, né mai lo sarà, una politica estera.
Il cambiamento che l’Europa deve perseguire è soprattutto legato al campo della sicurezza e della difesa, anche facendo passi in avanti con nuclei ristretti di cooperazione rafforzata. Se vogliamo che l’Europa svolga un ruolo centrale nel Mediterraneo, abbiamo bisogno di un’autonoma “capacità di proiezione” altrimenti tutto diventa molto difficile.
Tutto ciò comporta che anche la Nato, così come l’Europa, deve capire qual è la sua funzione, qual è il suo ruolo, quali sono i suoi compiti nel terzo millennio. È necessario definire qual è il rapporto tra la Nato e l’Europa e tra la Nato e un modello di sicurezza e di difesa europeo che devono essere necessariamente complementari.
Infine, in un mondo così disordinato come quello di oggi, non bisogna avere paura delle differenze ma bisogna ricordarsi di condividere gli stessi valori. Non facciamoci immediatamente irreggimentare nei fronti ma sentiamoci accomunati da comuni valori. Quei valori che sono sempre stati importanti e che lo sono ancora di più adesso perché per la prima volta dopo settant’anni vengono messi così evidentemente in discussione.
Sun Tzu nel suo famoso libro “L’arte della guerra” diceva: “Per vincere una guerra sono importanti sia la tattica che la strategia” e poi aggiungeva “una strategia senza tattica è la via più lunga per arrivare alla vittoria” ma “una tattica senza una strategia è il rumore di fondo di una sconfitta”. Conviene non dimenticarlo mai.
Marco Minniti, deputato, membro della Commissione affari esteri della Camera
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