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La strage in Nuova Zelanda e l’Isis. Vi racconto la spia di una crisi

crisi

C’è una differenza drammatica tra l’uso mediatico del terrorismo praticato dall’Isis e l’uso mediatico dello terrorismo messo in atto in Nuova Zelanda da un gruppo anti islamico e “primatista” o sovranista bianco. In entrambi non è certo il pensiero il punto di forza, questo è evidente. Nel caso dell’Isis il pensiero è talmente rozzo e poco influente che al-Baghdadi ha parlato pubblicamente solo una volta.

Anche nel caso del crimine terrorista neozelandese il pensiero conta poco, come confermano le decine di pagine pubblicate dall’assassino (perché mai citarne il nome? Per contribuire magari a farne un mito del male?) e che si richiamano alle solite trivialità dell’invasione, della denatalità e così via. Un’invasione in gommone… chi può crederci davvero?

Certo sono idee che ricorrono in certa pubblicistica, ma parlarne è una perdita di tempo. L’idea che ha funzionato e che ha creato la psicosi non è “l’invasione barbarica in pedalò”, no. Il messaggio che ha funzionato è stato quello promosso dall’Isis. Quale messaggio? L’Isis ha volutamente assimilato se stesso alla nostra idea di Islam, un Islam assolutamente cinematografico, e di una cinematografia scadente, fatta di scimitarre (mai vista una scimitarra per le strade vere), deserti di un giallo brillante (quello vero è sovente molto più arido), turbanti nerissimi (anche questi difficili da incontrare nella realtà). Chi abbia visto film un po’ più convincenti ha visto un Islam cromaticamente diverso. Ecco che dentro di noi è venuta facilmente rafforzandosi l’idea di un’identità sostanziale tra l’Isis come lo vediamo e l’Islam come lo pensiamo. Con questo calcolo si è riusciti a entrare in tanti in buona fede, la propaganda ha avuto successo. L’operazione dunque sapeva cosa voleva portare dentro le opinioni pubbliche occidentali e c’è riuscita.

I due anni di preparazione della strage neozelandese sembrano aver avuto a cuore la scelta della città dove compiere l’azione: Christchurch. Un nome più indovinato per imbrattare di sangue la “Chiesa di Cristo” era impossibile trovarlo. Un’azione malvagia ma efficacissima, la scelta del nome. Compiere un atto così osceno proprio a Christchurch ha un effetto potentissimo. Basta pensare a cosa penseranno coloro che leggeranno la notizia tradotta in arabo, ad esempio: “Massacro a Chiesa di Cristo”. Enorme… Ma i lunghissimi minuti di follia che sono stati resi visibili aggiungono poco. Anche la canzone dedicata al criminale di guerra bosniaco, Radovan Karadzic, è copiata di sana pianta dalla pubblicistica dei fautori del califfato islamico di anni fa. Lo racconta con precisione Majid Nawaz in “Radical”, il suo libro autobiografico in cui spiega che l’indottrinamento dei fautori del califfato che lui subì molti anni fa cominciò proprio così: “Il problema dei razzisti inglesi verso di te non è che sei pakistano, ma che sei musulmano: altrimenti perché in Bosnia massacrano una popolazione che veste come gli europei, beve come gli europei? Perché sono musulmani!”. Dunque le malefatte di Karadzic non sono una novità nel mondo dei propalatori dell’odio.

E allora qual è il piatto forte, il messaggio subliminale importante? Se lo dovessimo pensare veicolato verso la popolazione islamica lo potremmo trovare in quell’infierire sulle vittime, in quella disgustosa ferocia verso corpi ormai quasi inermi, comunque terrorizzati. Ma questo porta a galla un immaginario collettivo islamico al riguardo dell’Occidente? Gli inclini già la penseranno così, gli altri non si faranno certo convincere da questo esecrato crimine. Se invece lo dovessimo pensare rivolto a noi, il messaggio forte starebbe nella simulazione, capace di rendere anche le moschee luogo da presidiare, ma in sincerità posso solo pensare che questa oscena emulazione, possibile, potrebbe riguardare quelli che un tempo chiamavamo i nazimaoisti, cioè i rossobruni.

Ma nel complesso l’operazione propagandista mi sembra l’ulteriore spia di una crisi, mentre quella dell’Isis ha avuto, purtroppo, una sua efficacia globale. Se il razzista e terrorista che ha fatto la strage a Christchurch riuscirà ad allargare il fossato tra cristiani e musulmani lo farà per l’azione che ha compiuto, per il nome del posto che ha scelto, ma la macchina di propaganda non ha punti forti, a me conferma un’idea: siamo proprio in crisi, anche nell’orrore più atroce. Ma negare che i terrorismi sono due è un esercizio acrobatico: il criminale neozelandese ha seguito un iter di anni, attinge a piene mani a propagande profonde, si riferisce guarda caso alla battaglia di Lepanto così cara all’integralismo cristiano. È la spia di una crisi profonda, come quella islamista, ma è proprio difficile negare che sia terrorismo. Anche se, a mio avviso, meno evoluto da un punto di vista propagandistico dell’altro.



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