Fondi d’investimento pronti a speculare. Fondo monetario e Banche centrali in surplace: vigilia di svolte finanziarie sui mercati. L’impatto della Brexit è destinato a determinare cerchi concentrici su tutta l’economia mondiale. Mentre già si avvertono i primi sintomi negativi per il settore dei servizi finanziari in Gran Bretagna, sullo sfondo delle incertezze sulle modalità d’uscita del Regno Unito dall’Europa. Fra febbraio e marzo l’indice di attività economica nel settore finanziario – il più remunerativo della City londinese – ha fatto registrare un calo da 51,3 a 48,9 punti.
Il fenomeno, spiegano gli analisti, non è legato al momento a scenari di fuga massiccia, ma piuttosto a un clima di prudenza e d’attesa. Uno stallo che tuttavia rischia di trasformarsi presto in abbandono delle posizioni.
Paradossalmente l’Inghilterra, la nazione che ha vinto tutte le guerre, è sul punto di perdere l’unica che non ha combattuto: la Brexit war, la madre di tutte le guerre, quella del predominio economico e finanziario dell’Inghilterra sui mercati mondiali.
Una brexit war che rischia di fare perdere per sempre al Regno Unito il ruolo di crocevia del commercio e della finanza internazionale.
L’avvitamento del governo inglese, guidato da un primo ministro che ha riportato più sconfitte parlamentari di tutti i predecessori messi assieme, delinea scenari politico-economici non solo allarmanti, ma quel che è peggio in grado di innescare un effetto domino di ulteriori crisi economiche sui mercati.
A Londra la situazione è talmente confusa e ingarbugliata che non si capisce se è meglio lasciare l’Unione Europea semplicemente no deal o in modalità hard Brexit.
Per il momento le reazioni dei mercati sono contraddittorie. La sterlina registra perdite di circa il 15% nei confronti del dollaro e del 10% nei riguardi dell’euro, ma nonostante la disoccupazione sia scesa ai minimi del 4,8%, l’inflazione è salita al 2,3.
Tutti si chiedono le conseguenze immediate della Brexit e cosa succederà se non c’è accordo con l’Ue.
Senza un accordo sul commercio, il Regno Unito dovrebbe operare secondo le regole dell’ Organizzazione mondiale del commercio (Wto). Il che potrebbe significare l’introduzione dei controlli doganali e delle tariffe e potrebbe determinare lievitazioni di costi per le imprese inglesi nell’acquisto e nella vendita di merci all’estero.
A differenza del Regno Unito, l’Europa è comunque pronta a fronteggiare l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. In caso di no-deal, il Regno Unito diventerebbe un Paese terzo all’Unione europea e nel settore delle dogane e del fisco ci sarebbero quattro grandi cambiamenti:
1) L’applicazione immediata del codice doganale comunitario sul traffico di merci dal Regno Unito, quindi nuovi controlli doganali.
2) Le imprese Ue che ora commerciano con il Regno Unito dovranno iniziare a rispondere alle formalità doganali con un aumento stimato del 40/50% delle dichiarazioni riguardanti le importazioni e le esportazioni.
3) I diritti doganali, l’Iva, le accise, dovranno essere pagati alla dogana dagli importatori. Gli esportatori dovranno conformarsi all’obbligo di fornire la documentazione doganale per giustificare l’esenzione dell’Iva all’esportazione. I visitatori in Ue dal Regno Unito avranno diritto al rimborso dell’Iva pagata sui beni comprati durante il loro soggiorno nell’Ue, a condizione che questi beni siano presentati in dogana, al momento dell’uscita dall’Europa, con i documenti per il rimborso dell’Iva.
4) I bagagli e le merci avranno controlli doganali. I viaggiatori dal Regno Unito non potranno più trasportare certe merci in Ue o solo in modiche quantità, per esempio i prodotti di origine animale, mentre le somme di denaro in contante che supereranno i 10mila euro dovranno essere dichiarate.
Per il Commissario Europeo agli affari economici e monetari, Pierre Moscovici, “sette dei dieci principali partner commerciali del Regno Unito sono Paesi dell’Ue, ed ogni anno ci sono più di 4 milioni di veicoli, cioé 11mila veicoli al giorno, tra Eurotunnel e traghetti.”
Senza un accordo l’attività di migliaia di imprese europee e dei viaggiatori sarà perturbata dalla reintroduzione dei controlli doganali e delle formalità burocratiche. Questo varrà per tutti i punti di entrata nell’Ue per i cittadini del Regno Unito.
Sul fronte doganale l’Irlanda e tutti gli Stati lungo la Manica hanno già realizzato nuove infrastrutture e stanno assumendo e formando nuovo personale. In particolare in Belgio sono in fase di assunzione 386 nuovi doganieri, in Francia 700, in Germania e nei Paesi Bassi complessivamente 900, ed in Irlanda oltre 400. A Calais sono già pronti ad entrare in azione i nuovi uffici doganali e per i controlli all’uscita dall’Eurotunnel.
In merito alla frontiera irlandese, in caso di no-deal, dal momento che qualsiasi merce che entrerebbe dal Regno Unito in Irlanda entrerebbe nel territorio doganale dell’Ue da un Paese terzo, sia l’Europa sia il Regno Unito sarebbero davanti a un problema notevole: “È importante come avverranno questi controlli”, sottolinea il Commissario Europeo agli affari economici e monetari Moscovici.
Altro serio interrogativo è quello che riguarda gli inglesi che vivono in Europa, i quali potrebbero perdere il diritto di residenza e l’accesso alle cure sanitarie di emergenza gratuite.
Invece cittadini europei con diritto di soggiorno permanente, che viene concesso dopo che hanno vissuto nel Regno Unito per cinque anni, non dovrebbero veder colpiti i propri diritti.
Il governo britannico non si è tuttavia ancora espresso riguardo alle garanzie sullo stato dei cittadini dell’Ue che attualmente vivono nel Regno Unito. Secondo gli inglesi questo non è possibile senza un impegno reciproco da parte degli altri membri dell’Ue circa i milioni di cittadini britannici che vivono nel continente.
E gli italiani che lavorano a Londra e nel Regno Unito?
Tutto dipende dal fatto che il governo britannico decida di introdurre o meno un sistema di permesso di lavoro simile a quello che attualmente si applica ai cittadini non comunitari, limitando l’ingresso a lavoratori qualificati nelle professioni in cui vi è carenza.
Interrompere 43 anni di trattati e accordi che riguardano milioni di soggetti non è semplice.
Un eventuale accordo sul commercio post-Brexit sarà complesso, perché avrà bisogno dell’approvazione unanime di più di 30 parlamenti nazionali di tutta Europa, alcuni dei quali potrebbero voler indire un referendum.