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Conte guida l’Italia al Forum sulla Via della Seta. Presenti anche Putin e Kim

Leader di 37 nazioni parteciperanno al secondo Forum sulla Nuova Via della seta per la Cooperazione Internazionale che Pechino ospiterà tra il 25 e il 27 aprile e dove Xi Jinping presenterà il quadro evolutivo della maxi infrastruttura geopolitica dal valore di 1 trilione di dollari che la Cina ha lanciato cinque anni fa come vettore per affermarsi allo status di potenza globale.

Come già successo nel 2017, una delegazione italiana di alto livello parteciperà all’evento: due anni fa era stata guidata dall’allora premier Paolo Gentiloni, ma stavolta il gruppo guidato con ogni probabilità da Giuseppe Conte avrà un ruolo e un valore diverso. L’Italia è l’unico paese del G7 ad aver firmato un memorandum con cui aderire formalmente al progetto Belt & Road Initiative. Una decisione che ha suscitato ampie critiche da parte dell’Unione europea e degli Stati Uniti che hanno espresso preoccupazioni perché ritengono la Bri un progetto con forti implicazioni politiche e geopolitiche, più che un accordo di carattere economico-commerciale.

Washington, per esempio, come già successo non invierà una delegazione di alti rappresentanti, perché non vuol legittimare Pechino nel piano che è considerato dagli americani uno strumento con cui la Cina sta lavorando per soffiare agli Stati Uniti lo scettro del mondo sia in termini di economia sia come prima super-potenza globale. Sarà invece presente Vladimir Putin la cui presenza è stata confermata nei giorni scorsi dall’ambasciatore in Cina: sarà l’ospite d’onore. E poi l’austriaco Sebastian Kurz.

Dopo aver ottenuto l’adesione italiana, la Cina ingloberà la Svizzera la cui firma ufficiale sarà celebrata durante la riunione della prossima settimana – sarà presente Ueli Maurer, presidente della Confederazione svizzera, a siglare l’intesa (la riunione della Bri sarà anche occasione per una visita di stato, in cui Maurer verrà accompagnato da una nutrita delegazione di manager e investitori elvetici).

Un altro allineamento importante, con cui il Dragone potrà dare consistenza al meeting e proiettarsi verso il nord europeo. Pechino ha necessità sia di integrare all’interno della Bri il più ampio numero di paesi possibile per rendere il progetto tecnicamente più efficace, ma anche per il valore simbolico (e dunque politico) che hanno queste adesioni.

“Tutti i paesi sono liberi di partecipare, ma nessuno ha il diritto di impedire ad altri paesi di aderire e prenderne parte. Speriamo che molti altri paesi, compresi gli Stati Uniti, possano partecipare attivamente alla Via della Seta”, ha dichiarato ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, presentando la kermesse di Pechino. Un richiamo alle critiche, un segnale agli altri.

Oltre al bottino svizzero, c’è stata pure l’adesione del Lussemburgo ad allargare il clan di paesi europei aderenti. Questo mese Pechino ha incassato un risultato tutto sommato positivo dall’importante vertice con l’Ue (del 9 aprile), in cui i cinesi hanno chiuso un accordo per rimandare al 2020 la data per un deal globale che dovrebbe includere anche passaggi riguardo tematiche sensibili – come il furto di proprietà intellettuale, gli investimenti, il trasferimento forzato di tecnologia – già comunque verbalizzate nel documento congiunto che ha chiuso la riunione di inizio aprile.

Risultato buono anche per l’Ue – perché le questioni messe sul tavolo e su cui c’è stata un’intesa preliminare sono fondamentali, quelle che riguardano anche lo scontro commerciale con gli Stati Uniti. Bruxelles ha deciso di lasciare libertà sull’adesione alla Bri, ma ha predisposto screening più severe sugli investimenti cinesi, da valutare singolarmente.

Sempre ad aprile, la Cina ha dimostrato di aver forza e interesse nel procedere più secondo i propri obiettivi con il 16-1, il sistema economico che Pechino ha organizzato con sedici paesi dell’Est europeo (di cui undici membri Ue). La riunione annuale ha seguito di pochi giorni il vertice Ue, ma lì Pechino ha giocato le sue carte non proprio nell’ottica dell’integrazione europea, includendo nel sistema la Grecia, altro paese in cui i cinesi sono ampiamente penetrati (ora si parla di 17+1) e allargando l’insieme di quei paesi con cui il Dragone sta costruendo rapporti diretti, bilaterali, tenendo le relazioni fuori dall’insieme Ue.

L’evento pechinese della prossima settimana è stato presentato in pompa magna venerdì dal ministro degli Esteri cinese che ha fornito i dati raccolti dalla Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma, secondo cui gli scambi commerciali lungo la Bri hanno superato i seimila miliardi di dollari (periodo 2013-2018). Numeri fantasmagorici, con cui la Cina cerca di allettare futuri avventori e rassicurare i contrattisti.

Il capo della diplomazia cinese ha ricordato la lista degli invitati, e tra questi ha menzionato anche Kim Jong-un, leader della Corea del Nord, che ultimamente Pechino sta riavvicinando per non perdere il contatto nel quadro negoziale guidato dagli Stati Uniti. Al momento non è possibile sapere se Kim parteciperà.

Poi ha elencato tutta una serie di progetti che stanno andando avanti (sarebbero mille quelli messi in moto dalla Bri), citando tra questi le ferrovie Cina-Laos e Cina-Thailandia, e il porto greco del Pireo. È la doppia dimensione della Belt & Road, una cintura terrestre che si congiunge con rotte marittime. In questo Trieste diventa un centro di massimo interesse per Pechino, perché può rappresentare il punto di giunzione tra le due vie.

Nei giorni scorsi, intervistato da Agenzia Nova, l’ambasciatore cinese al Cairo, Li Dong, ha esternato l’interesse cinese su Suez. Per la via d’acqua egiziana, infatti, passa tutto il commercio di container tra l’Asia e l’Europa, ma è uno snodo su cui la talassocrazia americana difficilmente retrocederà anche se l’Egitto sarà tra i paesi a Pechino.

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