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La Nuova Via della Seta nel sud-est asiatico: sì o no?

Di Raffaele Cazzola Hofmann e Mark Manantan
cina

La visita di alto profilo del presidente cinese Xi Jinping in Italia e in Francia ha confermato l’esistenza di due priorità della Cina: la necessità di assicurarsi nuovi partner commerciali vista la situazione di stallo nei colloqui commerciali con gli Stati Uniti; la salvaguardia del futuro dei suoi giganti tecnologici come Huawei e altri, che sono considerati vitali per la realizzazione della strategia “made in China 2025” voluta da Xi. Al tempo stesso la visita di Xi ha suscitato reazioni contrastanti sulle potenzialità della “nuova Via della Seta” e sulle reali intenzioni della Cina. Una necessità è risultata però evidente: la Ue deve escogitare un approccio globale per affrontare in modo costruttivo e al tempo stesso con cautela la Cina.

A livello europeo sembra emergere la consapevolezza dell’inadeguatezza dell’approccio alla potenza cinese in crescita finora utilizzato. Un approccio in base al quale sarebbe possibile godere dei benefici economici e al tempo stesso tenere sotto controllo gli aspetti strategici della relazione con la Cina. Alla pari degli Stati Uniti, la Ue ha però fallito nel tentativo di conformare la Cina agli “standard occidentali” in termini di valori, norme e istituzioni. Piuttosto è la Cina a sfidare lo status quo fornendo modelli di governance alternativi. L’Asia ce lo insegna.

LA NUOVA VIA DELLA SETA

Con la “nuova Via della Seta” la Cina aspira a connettere l’Eurasia, l’Africa occidentale, il Pacifico meridionale e l’America Latina attraverso una rotta commerciale integrata con benefici per tutti i Paesi coinvolti. Eppure la realizzabilità di questa “visione” dal valore di trilioni di dollari è ora messa in discussione sul campo. Negli ultimi mesi numerosi Paesi – tra cui le Filippine, la Malesia e il Myanmar – hanno espresso riserve e perfino provato a rivedere o cancellare i progetti legati alla “nuova Via della Seta” per la paura di cadere nella “trappola del debito”, cioè di non essere in grado di ripagare alla Cina i finanziamenti ricevuti per realizzare le infrastrutture legate alla Via della Seta. Il Laos e la Cambogia, che avevano sottoscritto i finanziamenti cinesi, sono ora considerati come “Stati vassalli” di Pechino proprio a causa dell’ammontare del proprio debito, ormai fuori controllo, verso la Rpc.

Nel contesto del sud-est asiatico, la Cina sta vincendo sul piano della quantità grazie al volume dei suoi investimenti; ma il Giappone si posiziona meglio in termini di qualità grazie alla sua migliore reputazione in termini di sostenibilità e impatto locale dei suoi investimenti all’estero. A differenza della Cina, il Giappone propone un modello di azione che mette i propri “debitori” nelle condizioni di essere in grado di ripagare i propri debiti.

UNA INDICAZIONE, DA LONTANO MA UTILE, PER L’EUROPA

La Cina sta raccogliendo i frutti politici della sua azione all’interno dell’Asean, l’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico (Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Myanmar, Singapore, Thailandia, Vietnam). L’Asean è ormai spaccata e non più in grado di confrontarsi con l’assertività della Cina nel Mar Cinese Meridionale: esemplare l’ormai cronica incapacità dell’Asean di costruire anche un solo comunicato ufficiale dopo vicende come quella del 2016, quando le Filippine hanno vinto la causa contro la Cina davanti alla Corte arbitrale dell’Aja sul controllo delle isole contese nel Mar Cinese Meridionale. Il Laos e la Cambogia, oltre a influenzare i processi decisionali nell’Asean, consentono alla Cina di ottenere vantaggi nei negoziati per l’adozione di un codice di condotta comune per il Mar Cinese Meridionale.

L’Asean e la Ue sono due organizzazioni molto diverse tra loro e soprattutto rappresentano blocchi distantissimi tra loro non solo a livello geografico ma anche in termini di governance, economia e patrimonio storico-culturale. In questa fase storica vi è però il fattore comune delle sfide poste dal rapporto con la Cina. In tal senso l’esperienza dell’Asean è utile per indicare quanto sia indispensabile per l’Ue formulare per davvero quell’approccio “realistico, assertivo e multiforme” descritto nel già richiamato “Eu-China Strategic Outlook”. La sfida è trovare un equilibrio tra l’interesse nazionale degli Stati membri e l’interesse europeo a impedire alla Cina di replicare la strategia del “divide et impera” attuata nel sud-est asiatico.

Qui la prima parte dell’analisi

Raffaele Cazzola Hofmann, Phd in Sociologia dello sviluppo e titolare della borsa di studio Taiwan Fellowship 2019 presso la Fu Jen Catholic Univesity di New Taipei 

Mark Manantan, research fellow presso il Center for Southeast Asian Studies di Taipei e titolare della borsa di studio Taiwan Fellowship 2019

 

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