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Se abbandona Serraj, l’Italia perde il suo ruolo in Libia. L’analisi di Varvelli

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La visita a Pechino del presidente del Consiglio Giuseppe Conte è stata scandita da dichiarazioni più o meno prevedibili, soprattutto per quanto riguarda la situazione in Libia. La linea “morbida” utilizzata dall’inquilino di Palazzo Chigi nei confronti del generale Khalifa Haftar potrebbe essere legata alla necessità di mantenere aperti i canali di comunicazione in vista degli incontri con Vladimir Putin e Al Sisi?

Arturo Varvelli, senior fellow dell’Ispi, in una conversazione con Formiche.net ha spiegato: “Mi sembra che il tentativo sia quello di utilizzare la crisi libica per uscire dall’isolamento internazionale nel quale l’Italia si era auto-confinata per diverse motivazioni. Dal dibattito acceso poi sfociato nella crisi diplomatica con la Francia, alla questione dei gilet gialli, fino alle accuse mosse da Di Battista. Ma anche a una tensione naturale che questo governo ha con l’Europa. Inoltre ci siamo giocati un po’ le carte che avevamo con Trump dopo che è stato firmato il memorandum sulla via della Seta. Dunque questo governo in un certo senso si è trovato un po’ isolato sulla scena internazionale e quello che sta facendo Conte è di utilizzare la crisi libica per tornare un po’ al centro, ad avere un ruolo”.

C’è una strategia dietro la linea “soft” utilizzata da Giuseppe Conte a Pechino sulla Libia?

L’Italia ha la possibilità di dialogare con entrambe le parti in conflitto ma può mantenere tale capacità solo se non abbandona Serraj. Il rischio delle parole di Conte – che poi sono state anche un po’ corrette dalla Farnesina – è che se si abbandona Serraj, l’asse che ci vedeva forti nella nostra posizione viene meno. In realtà, dunque, l’Italia deve tenere a freno la retorica e giocare sul piano della mediazione; è giusto dialogare ma non è giusto farci prendere in giro dalle parole di Haftar. La narrativa utilizzata dal generale andrebbe contrastata dal governo italiano che non deve cadere sul suo modo di raccontare i fatti. Se vi dovesse cadere, il rischio sarebbe di perdere il ruolo di attore privilegiato nell’area.

E il rapporto con la Russia? Le dichiarazioni di Conte hanno preceduto di poco il suo incontro con Vladimir Putin e il presidente egiziano al Sisi in Cina.

La Russia ha un’ambizione competitiva nei confronti dell’Italia perché vorrebbe diventare il mentore di una fase di mediazione dell’area (Astana ne è un esempio). Ma bisogna capire cosa in realtà Mosca voglia fare sulla Libia: la mia idea è che voglia in qualche modo sostituire gli Stati Uniti un po’ in tutta l’area come mediatore. Anche considerando che gli Usa, nonostante le dichiarazioni di Trump, nell’ultimo periodo mi sembrano comunque molto lontani, poco impegnati. Tutto questo, quindi, è un po’ concorrenziale rispetto al tentativo italiano. Cosa abbiamo da offrire noi alla Russia? Sicuramente un legame molto forte sia con la città di Misurata che con la città di Tripoli. Vedremo dunque se in qualche modo il tentativo italiano potrà andare a buon frutto come quello di guardare a Mosca per avere una funzione calmierante sul generale Haftar. In ogni caso penso che la situazione debba essere guardata non tanto dal lato russo ma più verso l’asse Cairo, Abu Dhabi e Riad. Sono soprattutto queste tre capitali che stanno maggiormente spingendo per Haftar.

È stato annunciato (come era stato anticipato da Formiche.net qualche settimana fa) che Africom rientrerà a Misurata. Che ruolo potranno avere gli Usa?

Mi sembrava che quella degli Usa di andar via da Misurata fosse stata una mossa un po’ troppo precipitosa e che fa capire, anche in questo caso, come vengano fatte valutazioni sbagliate su Haftar e sul suo ruolo sul territorio. Mi sembra che da questo punto di vista abbiano ragione la Farnesina e Conte quando dicono che noi come Italia abbiamo le carte in regola per occupare un ruolo fondamentale. Siamo infatti l’unica ambasciata aperta a Tripoli, anche se dobbiamo essere capaci allo stesso tempo di avere un indirizzo verso gli altri attori che si affacciano sulla questione.

Come potrà evolversi la situazione nel prossimo futuro?

Alla luce di come stanno le cose è comunque molto difficile che Haftar prevalga nel breve periodo. Siamo davvero tutti sicuri di volerci imbattere in un conflitto sanguinoso come quello siriano e portarlo avanti per i prossimi cinque/sei anni? Questa d’altra parte è la sfida che è stata dichiarata apertamente. Magari gli attori dei Paesi del Golfo sono anche disposti a farlo ma allo stesso tempo dobbiamo considerare che altri Paesi come la Turchia e ancora di più il Qatar saranno pronti a compensare gli aiuti militari dall’altra parte. Senza poi dimenticare che Haftar ha 75 anni; anche nel caso in cui dovesse arrivare a conquistare la capitale, come pensa di tenerla sotto controllo nel lungo periodo? E dopo di lui cosa accadrebbe? Difficile capire questo innamoramento nei confronti di Haftar se non con una pulsione di attori esterni.

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