L’ultimo esempio è di pochi giorni fa quando la squadra mobile di Palermo ha fermato 13 membri della mafia nigeriana che schiavizzavano ragazze e sottoponevano i nuovi adepti a riti violenti. Episodi noti, ma la mafia nigeriana e le organizzazioni criminali africane in genere sono un pericolo molto più ampio. “Le capacità italiane di contrasto alla criminalità organizzata come strumento di stabilizzazione in Africa Occidentale” è il titolo del report curato dal Centro studi internazionali e da Intellegit, start up dell’università di Trento, con il contributo del ministero degli Esteri che ne ha ospitato la presentazione. Un tema che interessa direttamente l’Italia per le connessioni con il terrorismo jihadista e non solo per le ricadute criminali sul nostro territorio.
Marco Di Liddo (Cesi) ha spiegato che nel Sahel la mafia africana stringe un’alleanza tattica con i terroristi: sfruttano insieme il traffico di esseri umani oppure, nel caso del traffico di droga, pagano ai jihadisti il pedaggio per attraversare un certo territorio o i servizi di scorta, ad eccezione di gruppi come al Mourabitoun del “guercio” Mokthar Belmokthar che è contrario al traffico di stupefacenti. Nel report è spiegato, per esempio, che nella zona tra il nord della Nigeria e il sud della Libia, dove convivono cartelli jihadisti, organizzazioni criminali e forze armate nazionali, i traffici di armi, droga, esseri umani e contrabbando generano un indotto di oltre 15 miliardi di dollari l’anno una fetta dei quali finanzia i gruppi terroristici. La mafia nigeriana, in particolare, ha acquisito nel tempo una struttura internazionale grazie soprattutto al traffico di migranti e allo sfruttamento della prostituzione che ne consegue. Gli africani che sono oggi in Europa con la speranza di una situazione migliore per ora non costituiscono necessariamente la potenziale manovalanza di queste mafie, “ma quando scopriranno che il sogno europeo svanisce?”. La domanda che ha posto Di Liddo lascia intendere un rischio che potrebbe coinvolgere anche le criminalità organizzate nazionali, tanto che nel report non si escludono “autentiche guerre di mafia transnazionali sul territorio italiano ed europeo”.
Il traffico di esseri umani e il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sono organizzati in maniera professionale. Fiamma Terenghi, ricercatrice dell’università di Trento, ha raccontato di “agenzie di viaggio” marocchine facilmente rintracciabili su Facebook che offrono pacchetti completi: 200 euro per un passaggio in gommone, fino a 10mila euro per uno yacht. Gli investigatori italiani sanno che sono in grado di organizzare ricongiungimenti familiari, matrimoni combinati e contratti di lavoro fittizi: la relazione della Dia due anni fa spiegò che un falso contratto di lavoro costava 1.500 euro, un matrimonio simulato 4mila, un viaggio in Italia anche 10mila euro. Fatto sta che le mafie africane sono una “minaccia rilevante per l’Europa e l’Italia” secondo Mauro Lorenzini, capo dell’ufficio Africa Occidentale e Orientale della Farnesina, e che una “criticità irrisolta” di molte zone di quel continente sta nella fragilità istituzionale, sociale e finanziaria. Alla fine, è nel riciclaggio che convergono i guadagni dai traffici illeciti: il tenente colonnello Massimiliano D’Angelantonio, comandante del II reparto investigativo del Ros dei Carabinieri, ha sottolineato la grande adattabilità a relazionarsi della mafia nigeriana che ormai ha “cellule in tutto il globo” e che ha avuto la capacità di insediarsi nel centro di Palermo, il mandamento di Porta Nuova cuore di Cosa Nostra. L’attenzione investigativa è dimostrata dall’aumento dei detenuti nigeriani in Italia: dal 5,7 per cento del totale nel 2017 al 7,2 del 2018.
Una delle conclusioni del report riguarda il possibile ruolo dell’Italia in futuro, grazie alle esperienze nella lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo che oggi possono portare a tagliare le loro fonti di finanziamento sul territorio nazionale, ad agire di concerto con Interpol ed Europol su quello estero e a sviluppare rapporti bilaterali di cooperazione militare e di sicurezza con quei Paesi che più a rischio. Tutto quello che impareranno comporterà meno problemi anche per noi.