Quello che voleva fare Saint-Simon, distruggere Notre Dame, è andato vicino a farlo un incendio. Proclamata tempio della Ragione, saccheggiata, nazionalizzata, poi restituita alla Chiesa cattolica nell’epoca concordataria, Notre Dame, che ha visto l’incoronazione di Napoleone, riassume e rappresenta Parigi da secoli, se non da quando è stata progettata nel XII secolo, certamente da tantissimo tempo.
Le immagini del crollo della guglia hanno fatto immediatamente il giro del mondo, come il rogo del tetto ligneo, un legno intrecciato, e quel legno rappresentava una promessa, quella che unisce la Francia laica e credente in questo momento di lutto. Qui c’è la valenza politica del racconto. Il crollo della guglia ha evocato in molti il crollo delle Torri Gemelle di New York sotto l’attacco dei terroristi. E infatti molti hanno evocato, o immaginato, un altro attentato, dei terroristi, jihadisti ovviamente. Altri hanno visto la drammaticità dell’incendio della promessa, dell’unione tra diversi che non si tradiranno come in passato, non si combatteranno come in passato, neanche siano macroniani o gilet gialli. È stata questa la scelta compiuta subito dalla comunità musulmana francese.
Il suo presidente, il rettore della grande moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, ha infatti scritto subito su Twitter: “Davanti allo spettacolo terribilmente doloroso dell’incendio di Notre Dame, cattedrale di Parigi consustanziale della Francia, noi preghiamo Dio di salvaguardare questo monumento prezioso per i nostri cuori”. Le città sono questo, e le sue parole colgono il dramma di Parigi: l’incuria che con ogni evidenza ha tagliato i fondi per la ristrutturazione di Notre Dame dando la precedenza ad altre spese sa uccidere le città quanto il terrorismo. Ma questa incuria, nelle dirette di ieri sera è stata poco evocata, sebbene fosse documentata dai ritardi, dai tagli, dall’abbandono.
Lo spettro del terrorismo invece era lì, presente, quasi evocato, o invocato come “salvatore”, perché allora il nemico esterno ci avrebbe salvato, avrebbe preso su di sé la responsabilità di errori, di scelte, di priorità che sono le nostre. La promessa del legno intrecciato da secoli di Notre Dame è stata abbandonata da una cultura che uccide il senso di una città, la sua promessa urbana, quella di vivere insieme, nel nome di altre priorità. La guglia crollata così è apparsa indicare un destino più che evocare il 2001: la città può morire se si torna ai vecchi tribalismi, alla caccia alle streghe. Quella caccia alle streghe è incompatibile con la città, vede un mondo fatto ancora di tribù, franchi magari, che Rimbaud ricordava poeticamente spalmarsi di burro i capelli.
Per fortuna il presidente Macron ha subito detto che Notre Dame sarà ricostruita, ma è l’essenza di Notre Dame che va ricostruita, la promessa del suo tetto va offerta di nuovo a una città affinché rifiuti di tornare a spalmarsi di burro i capelli. La spesa tardiva deliberata da Macron forse arriva al momento opportuno per dire ai francesi che o si investe sul proprio passato comune, sulla propria anima, o difficilmente si potrà costruire il proprio futuro.