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Russiagate, è la giornata del report di Mueller. I Dem promettono battaglia

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C’è grande attesa negli Stati Uniti, soprattutto in casa democratica, per la pubblicazione del report di circa 400 pagine redatto al termine dell’inchiesta sul Russiagate, le ingerenze di Mosca nelle elezioni americane del 2016 e i possibili legami con il team dell’allora candidato Donald Trump oggi presidente.

LA CONFERENZA STAMPA

Il ministro della Giustizia William Barr e il vice attorney general Rod Rosenstein, che hanno supervisionato i 22 mesi di indagini del procuratore speciale Mueller, terranno – riporta il Washington Post – una conferenza stampa alle 9.30 locali (le 15.30 in Italia) per discutere del report che però – secondo quanto ha annunciato il presidente della commissione giustizia della Camera Jerry Nadler – non sarà consegnato al Congresso fino a un orario compreso fra le 11 e le 12 locali (cioè fra le 16 e le 17 in Italia).

LO SCONTRO POLITICO

Nonostante un riassunto dell’inchiesta inviato al Congresso e reso noto nelle scorse settimane abbia chiarito che né Trump né qualcuno dei suoi collaboratori associati del comitato elettorale sarebbero stati collusi con la Russia e con le attività attribuite a Mosca per interferire nelle elezioni, le polemiche dei Dem non si placano, anche perché – evidenziano gli esponenti del partito – la versione del documento che verrà diffusa sarà leggermente modificata. La ragione di ciò, ha spiegato Barr, è che nel documento sarebbero presenti dati sensibili che potrebbero portare all’identificazione di fonti dell’intelligence; si vuole inoltre evitare di avere un impatto sulle altre indagini in corso.
I democratici invece temono che si tratti di un tentativo di insabbiare qualche elemento che potrebbe, invece, aprire altri scenari.

L’INDAGINE DI MUELLER

L’indagine di Mueller, ha raccontato Formiche.net, ha coinvolto 19 avvocati e circa 40 agenti dell’Fbi, nonché diversi analisti dell’intelligence, esperti informatici e altre figure professionali che si erano rese necessarie secondo i procuratori; circa 500 persone hanno testimoniato, e 2.800 sono state le richieste di accesso agli di atti, 500 le perquisizioni e sono stati coinvolti 13 governi stranieri.

Lo special counsel aveva tre obiettivi: uno, verificare la campagna di interferenza russa; due, cercare eventuali collusioni del team Trump; tre, individuare se il presidente avesse cercato di intralciare il corso della giustizia (per esempio quando ha licenziato il capo dell’Fbi, James Comey che conduceva l’inchiesta prima della nomina di Mueller).

Sul primo e sul secondo punto (che era il nodo centrale): c’è stata un’azione per interferire organizzata da Mosca tramite la campagna di trolling gestita dalla Internet Research Agency (l’Ira, la cosiddetta Fabbrica dei troll di San Pietroburgo) e i cyber attacchi contro i Democratici, ma non sono state trovate prove per dimostrare che il team del repubblicano era colluso. Sul terzo punto, la squadra di legali di Mueller non si è espressa ancora definitivamente perché ci sono segnali contrastanti e ancora incompleti (per esempio, come detto, la vicenda di Comey). A questo punto potrebbero essere le commissioni congressuali ad andare più a fondo.

E mentre i Democratici temono che il procuratore generale stia spingendo per una pubblicazione solo parziale, i legali del presidente potrebbero essere pronti a preparare una strategia di difesa ad ampio spettro per dare battaglia sul caso Russiagate – e sui “danni” che il leader statunitense avrebbe subito a causa delle indagini (anche se la tranquillità della Casa Bianca inizierebbe ad essere minata da alcune preoccupazioni circa delle testimonianze dannose di alcuni funzionari, come l’ex consigliere Donald McGahn e l’ex capo dello staff Reince Priebus).

UN CASO APERTO?

Per questo, sebbene Barr e Rosenstein abbiano più volte affermato che Trump non solo non avrebbe avuto contatti con funzionari russi durante la campagna elettorale del 2016, ma che non avrebbe in alcun modo ostacolato il corso della giustizia americana (smentendo di fatto le accuse rivolte dai Dem), negli Usa – evidenzia il New York Times – si nota che nonostante le principali conclusioni del documento, Mueller non ha mai parlato di conclusioni secondarie (come le operazioni di influenza russe) o della non colpevolezza di tutte le figure vicine a Trump, così come ha detto di non poter giungere a una conclusione sulle accuse di ostruzione alla giustizia, motivi per i quali l’attesa per la pubblicazione è sempre più forte.

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