Skip to main content

Russiagate, Mueller non accusa Trump (ma nemmeno lo assolve). Il report

putin venezuela russia

Nessuna collusione con la Russia che pure ha tentato di influenzare le elezioni americane. Nessuna ostruzione alla giustizia da parte del presidente Donald Trump, perché i suoi ordini furono forse ignorati.
Sono queste le conclusioni salienti delle 448 pagine del rapporto del procuratore speciale Robert Mueller sul cosiddetto Russiagate, da poco reso pubblico (con degli omissis) subito dopo una conferenza stampa del procuratore generale (il ministro della Giustizia, ndr) William Barr.

IL REPORT DI MUELLER

L’attesa che circondava il documento, ha raccontato Formiche.net, era alta, soprattutto in casa democratica, dove si chiedeva (e si continua a farlo) una versione integrale (richiesta respinta perché nel documento sarebbero presenti dati sensibili che potrebbero portare all’identificazione di fonti dell’intelligence e anche perché si vuole evitare di avere un impatto sulle altre indagini in corso).
E se Trump e i suoi legali festeggiano considerando conclusa la vicenda (anche se i Dem promettono ancora battaglia), al termine della sua indagine anche Mueller insiste dicendo che “questo rapporto non arriva alla conclusione che il presidente ha commesso un crimine, ma nemmeno lo discolpa”, aggiungendo di aver trovato “prove sulle azioni e gli intenti” di Trump che “ci impediscono di determinare in modo definitivo che non ci sono state condotte criminali”.

report russiagate

NO COLLUSION

Come già si sapeva dalle anticipazioni date nelle scorse settimane, Trump porta a casa una definitiva e netta vittoria per quel che riguarda le accuse di collusione tra il suo staff e funzionari di Mosca, smentite nel report. “Anche se le indagini hanno stabilito che il governo russo pensava di poter trarre beneficio da una presidenza Trump e ha lavorato per assicurarsi questo risultato, e che la campagna [di Trump] si aspettava di trarre beneficio elettoralmente dalle informazioni rubate e pubblicate [sui democratici] tramite i russi, le indagini non sono arrivate alla conclusione che i membri della campagna di Trump abbiano cospirato o si siano coordinati con il governo russo per le sue attività di interferenza elettorale”

IL POSSIBILE INTRALCIO ALLA GIUSTIZIA

Più delicata la questione del possibile intralcio alla giustizia. I casi citati dal procuratore speciale Robert Mueller nel rapporto sono undici e non dieci, come invece dichiarato dal segretario alla Giustizia, William Barr. Tra questi, come era facile ipotizzare, c’è il licenziamento del direttore dell’Fbi James Comey cui Trump aveva precedentemente chiesto di “diradare le nuvole” sulla sua presidenza, dopo l’inizio delle indagini sui possibili legami tra il suo staff e la Russia. Poi, l’attenzione è stata rivolta anche ai tentativi di Trump di licenziare lo stesso Mueller e poi di limitare la portata delle indagini, e di impedire la pubblicazione di dettagli sull’incontro alla Trump Tower nel giugno 2016 tra suo figlio Don Jr., il genero Jared Kushner, Paul Manafort e un gruppo di russi che prometteva informazioni compromettenti sulla candidata democratica Hillary Clinton. E ancora: il tentativo di convincere l’allora segretario alla Giustizia, Jeff Sessions, di cambiare la sua decisione e di prendere le redini delle indagini contro di lui; poi, il suo comportamento nei confronti di Michael Cohen, suo ex avvocato personale e faccendiere, dopo la decisione di quest’ultimo di collaborare con Mueller.
Nonostante questi rilievi, Trump – si legge nel documento – non ha commesso il reato di ostruzione alla giustizia perché, spesso, i suoi ordini non sono stati eseguiti. “Gli sforzi del presidente per influenzare l’indagine” sul Russiagate “sono stati essenzialmente infruttuosi, ma questo è dovuto in larga parte al fatto che le persone della cerchia del presidente hanno rifiutato di eseguire i suoi ordini o dar seguito alle sue richieste”.
A questo punto potrebbero essere le commissioni congressuali (Mueller è già stato convocato) ad andare più a fondo, vista anche la pressione che i Dem sembrano ancora voler mettere sulla Casa Bianca, soprattutto con l’avvicinarsi delle elezioni del 2020. Ma allo stesso modo, si rileva oltreoceano, la fine dell’indagine, durata 22 mesi, sarà utilizzata dal fronte repubblicano per definire ancora una volta l’attenzione per il presidente in carica come una inutile ‘caccia alle streghe’. O, come ha detto Trump, “Game Over”.


×

Iscriviti alla newsletter