Lo spazio politico c’è, eccome. Ora, però, si tratta di dar vita a un grande progetto di riorganizzazione del centrodestra italiano e verificare, soprattutto, che tipo di consensi sarà in grado di generare tra gli elettori. “Che il 40% degli italiani sia diventato di estrema destra mi pare improbabile: votano Lega e Fratelli d’Italia perché manca un’alternativa al centro. Ed è quella che dobbiamo ricostruire”, ha affermato in questa conversazione con Formiche.net il senatore azzurro Paolo Romani, tra i fondatori del partito di Silvio Berlusconi, in Parlamento fin dal 1994 e con un passato anche da ministro dello Sviluppo economico.
Romani non ha negato l’esigenza di rinnovare profondamente Forza Italia e, forse, pure di superarla ma ha smentito che vi possa essere un incontro a metà strada con l’ala più riformista del Partito Democratico, quella per intenderci di Matteo Renzi e Carlo Calenda che il 20 maggio si ritroveranno a Milano per un’attesa, e inedita, reunion elettorale. Secondo i sondaggisti, come scrive oggi Il Foglio nell’approfondimento di Valerio Valentini, una eventuale forza politica centrista organizzata intorno all’ex premier e a Calenda varrebbe già tra l’8 e il 10% dei voti. Ma non sarebbe comunque destinata ad allearsi con la Forza Italia 2.0 che ha in mente Romani: “Sbaglieremmo profondamente se all’elettorato di centrodestra dicessimo che in questo nostro progetto ci sono anche i Calenda e i Renzi: appartengono a un’altra storia“.
Quale progetto?
Quello di un rinnovato partito popolare, liberale e riformista che vada a occupare lo spazio lasciato libero al centro dalla svolta estremista cui abbiamo assistito nell’ultimo anno.
Quindi lo spazio al centro esiste a suo avviso, giusto?
Partiamo dall’attuale contesto, quello di una grande coalizione fatta da due partiti molto diversi tra di loro. Una destra-destra leghista e una sinistra-sinistra pentastellata. Il che mi pare voglia dire che lo spazio al centro esista e sia pure molto rilevante.
Perché?
Perché questi valori sono ancora ben presenti nella nostra società e pure perché il patto su cui si fonda il governo non ha un sistema di idee condivise. Si regge soprattutto su un accordo di potere e sulla voglia di rinnovamento generazionale e antropologico di Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
E non le pare che stia funzionando? Gli alleati, è vero, passano il temo a litigare ma i consensi del governo, fino a prova contraria, non sembrano calare.
Le prossime elezioni europee, che sono esclusivamente proporzionali, misureranno la forza di ciascun partito. Certo, il messaggio per ora sembra passato nel senso che il 4 marzo dell’anno scorso Lega e M5s totalizzavano il 50% dei voti mentre oggi potrebbero arrivare, secondo i sondaggi, quasi al 55. Ma aspettiamo il 26 maggio per avere un quadro più preciso.
In questo contesto il centro come potrebbe rinascere? Chi lo voterebbe?
Perché ciò accada, occorre che sia chiaramente percepibile come popolare, liberale e riformista. E soprattutto che riesca a declinare concretamente questi valori.
In che modo?
Ad esempio, dobbiamo essere il partito dello sviluppo economico ma senza dimenticare la specificità italiana in virtù della quale l’81% dei nostri concittadini vive in comuni non metropolitani. Dobbiamo essere il partito che riesce a coniugare civiltà, integrazione e sicurezza: solo per dire, il 28% dei milanesi che lavorano non sono nati italiani ma sono perfettamente integrati nel tessuto economico e sociale del capoluogo lombardo. E ancora, dobbiamo essere il partito dello spirito d’intrapresa senza tralasciare però chi è rimasto indietro. Ecco cosa vuol dire centro.
Forza Italia cosa deve fare in questo progetto a suo avviso?
Nella prosecuzione della straordinaria avventura berlusconiana, Forza Italia deve profondamente rinnovarsi. Subito dopo le elezioni europee, e al di là del loro risultato, dovremo definire un tavolo di regole per riformare il partito. Dobbiamo introdurre criteri per la selezione della classe dirigente e creare organismi che vengano eletti e che favoriscano la partecipazione, per fare in modo che chi fa parte del partito sia anche convinto di condividerne le scelte. Tutto ciò oggi non avviene. E poi dobbiamo mettere in campo una nostra strategia sui social perché, in questo senso, siamo indietro. Certo, questo strumento lo dovremmo utilizzare in modo diverso da Lega e cinquestelle: la loro propaganda, cattiva, durissima, si fonda completamente su un utilizzo militare dei social.
Romani dalle sue parole sembra difficile immaginare che Forza Italia, o almeno una sua parte rilevante, possa tornare ad allearsi con Salvini. E’ così?
Il nodo delle alleanze va affrontato dopo, non prima. Innanzitutto ci dobbiamo configurare per quello che vogliamo essere e verificare che consensi potremmo ottenere, in attesa che questa alleanza di governo inizi a sfarinarsi.
Ma quindi alleati della Lega o no?
Lo ripeto, le alleanze si decideranno dopo. Di sicuro, comunque, non dobbiamo seguire la Lega da gregari come fanno Giovanni Toti e tanti altri esponenti azzurri che chiedono a Matteo Salvini di rinsavire e di rientrare nel vecchio centrodestra. Non dobbiamo farlo per un motivo molto semplice.
Quale?
Perché non accadrà: Salvini non tornerà mai con la vecchia Forza Italia proprio per il cambiamento anche generazionale e antropologico che ha voluto imprimere con la costruzione dell’alleanza gialloverde. Potrebbe forse dialogare con un partito rinnovato – popolare, liberale e riformista – ma in una formula di alleanza totalmente diversa. Perché lui ha bisogno di segnare fortemente il cambiamento rispetto al passato.
E’ giusto dire che lei è più vicino politicamente a Renzi che a Salvini? Che avete più cose in comune?
Ho partecipato convintamente al Nazareno perché ritenevo e ritengo che abbia consentito a Berlusconi – che il 25 novembre del 2013 era stato cacciato dal Senato – di tornare solo pochi mesi dopo, il 18 gennaio 2014, a essere protagonista, addirittura dell’evoluzione costituzionale del Paese. Il patto del Nazareno ha svolto un ruolo fondamentale nella riabilitazione di Berlusconi in politica e probabilmente, al netto della differente visione sulla legge elettorale, quel tentativo di riforma costituzionale non era così negativo.
Renzi uscirà dal Pd come affermano in molti nonostante le sue smentite? C’è chi è convinto che possa annunciare questo passo in occasione della prossima Leopolda.
Non lo so perché in politica abbiamo imparato che i leader si consumano molto velocemente, salvo alcune rare eccezioni come quella di Silvio Berlusconi. Oggi i vecchi leader come Renzi sembrano bruciati nella sensibilità della gente comune. Penso abbia consumato la sua credibilità presso gli elettori.
E di Calenda cosa ne pensa?
Ritengo che i due filoni tradizionali del vecchio bipolarismo – i liberaldemocratici nel centrodestra e i socialisti democratici nel centrosinistra – abbiano bisogno di vivere in maniera autonoma il loro processo di rinnovamento. La nostra esperienza è sempre stata alternativa alla loro: né Calenda né Renzi dovrebbero poter partecipare al nostro progetto.