Conte non conta, ma ha provato a dare un futuro a lo cunto suo. La surreale conferenza stampa di ieri, l’improponibile appello di uno sconosciuto al popolo, affinché prema su quelli che ha votato, spinge a leggere la vicenda alla luce degli assai sottili spessori personali. Il che distrae dai fatti reali e pesanti, con l’Italia alla vigilia di una possibile e devastante tempesta.
1. In testa a tutto ci sono i conti pubblici. Durante l’anestesia espansiva della Banca centrale europea, cui sola dobbiamo che la tempesta non ci sia già stata, l’Italia non ha suturato le sue profonde ferite, ma le ha allargate. Bonus, quota 100 e reddito di cittadinanza sono un ravanare nella piaga. Effetti di crescita pari a sotto zero.
2. I conti politici ed elettorali accompagnano la caduta libera. Le opposizioni non hanno ricette alternative. Forza Italia ha perso il ruolo di utilizzatore finale delle destre ed è mummificata nella comica pretesa di volere la Lega con sé e opporsi al governo dominato dalla Lega. Il Partito democratico pratica l’onanismo autoreferenziale, felice di esserci ancora e con la triste pretesa che si debbano fare le stesse cose che si fanno ora, ma a cura di gente meno improbabile. Gli elettori premiano il bipolarismo di governo, non credendo alle promesse, ma prendendo atto che sono le uniche promesse sul mercato.
3. Le due forze al governo non hanno la minima idea di cosa si possa scrivere nella legge di Bilancio. Oscillando fra l’affabulazione impomatata e inconsistente, ma finalizzata a non perdere la protezione (protezione) europea, e il rude approccio di chi favoleggia di sovranità nel mentre imbottisce l’Italia di esplosivo con cui farsi saltare in aria per rendere un servizio ai nemici della sovranità europea.
4. Conte fa il giurista da pretura e si sente ficcante nel citare e recitare l’articolo 95 della Costituzione, ovvero quello che non ha mai onorato (“Il presidente del Consiglio dei ministri (…) mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo (…)”). Volendo dire: non sono solo un presidente per caso, posso essere anche un presidente istituzionale. L’ossequio al Quirinale va letto in tal senso.
5. Tutto questo non sta in piedi, sicché al Colle basterebbe un soffio, basterebbe rinviarlo alle Camere per cancellarlo. Già, ma poi? Chiama subito le elezioni? Bella strategia: si arriva alla legge di Bilancio nel peggiore e più sconsiderato dei modi, con altri mesi di cretinate cosmiche vendute come cambiamento, con la gara a chi diminuisce di più le tasse e aumenta di più le spese, aprendo le urne nel mentre ci si serrano i mercati. Un capolavoro. Allora un governo tecnico, che metta non dico a posto, ma almeno incolonni i conti? Regalone ai più dissennati, che griderebbero alla democrazia tradita, invocando le urne come riscatto popolare e proponendo il pensionamento già dopo la licenza media, perché tutti hanno diritto a godersi la vita dopo anni di sudato impegno.
6. E qui Conte piazza il 95, letto su una corriera sobbalzante, sicché una riga sì e una no: il governo tecnico potrei farlo io. Fui portato da chi aveva preso più voti e ho anche fatto finta di avere una maggioranza parlamentare. Potrei restare qualche mese, navigando verso le elezioni anticipate ma non scassando ulteriormente i conti, in questo modo togliendo un vantaggio a chi mi sostenne. Certo, sarebbe il contrario di quanto fin qui detto e fatto, ma un avvocato cura le cause altrui e il trasformismo, che diamine, ha grandi tradizioni, lungo lo stivale.
Spettacolo mesto e anche sconcio? Sicuro. Ma ce lo siamo cercato. C’è una vasta Italia che non lo merita e non lo apprezza, ma non è rappresentata e non sa rappresentarsi.