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Maiteeg a Washington. La missione del vicepremier libico per convincere gli Usa a fermare Haftar

Il vicepremier onusiano libico, Ahmed Maiteeg è a Washington per incontri con parte degli apparati statunitensi attraverso cui alzare di livello il dialogo riguardo alla crisi politico-militare nel suo Paese. La visita, programmata da tempo, si incastra con alcune dichiarazioni stampa riguardo a un incontro prossimo – secondo Agenzia Nova il 18 giugno – tra Khalifa Haftar e i vertici dell’amministrazione, a cominciare dal presidente Donald Trump, di cui però le uniche conferme arrivano dall’entourage del signore della guerra delle Cirenaica che spesso si esercita in lanci propagandistici.

MESSAGGI CONFUSI DA WASHINGTON?

“La telefonata tra Trump e Haftar ci ha confuso, perché vediamo il governo americano come nostro principale alleato”, ha detto Maiteeg in un’intervista a NBC News, riferendosi alla conversazione di metà aprile tra il presidente statunitense e il libico che ha attaccato Tripoli, dove è insediato il governo onusiano guidato da Fayez Serraj, di cui Maiteeg è vice. Un attacco lanciato pochi giorni prima di una conferenza di pace organizzata dall’Onu, e mentre il segretario genere delle Nazioni Unite si trovava in Libia. “È stata la prima volta – continua Maiteeg sulla telefonata – che la Libia ha incontrato un messaggio confuso da un paese che considera un partner affidabile”, ma poi ha aggiunto che Washington continuerà a sostenere il processo delle Nazioni Unite, circostanza su cui è uscito rassicurato da alcuni incontri avuti in questi giorni con i funzionari del dipartimento di Stato.

NIENTE ARMI MA SUPPORTO POLITICO

Il dipartimento guidato da Mike Pompeo “comprende abbastanza bene la posizione del nostro governo e la situazione in Libia”, e infatti insieme a Pentagono e Consiglio di Sicurezza nazionale Foggy Bottom aveva già cercato di edulcorare l’effetto della diffusione pubblica di quella telefonata. “Non abbiamo bisogno del supporto degli Stati Uniti con denaro o truppe sul terreno […] Abbiamo bisogno che gli Stati Uniti ci sostengano diplomaticamente e politicamente”, è questo il messaggio che Maiteeg affida all’amministrazione Trump. Ed è quello che, secondo una fonte del suo entourage, sta incrementando gli sviluppi del canale diplomatico Tripoli-Washington: “Gli americani non appoggiano Haftar”, ci dice in forma discreta, “vogliono una soluzione pacifica, non credono assolutamente all’opzione militare e hanno perfettamente compreso che il cosiddetto uomo forte della Cirenaica tale non è, e non ha la capacità di conquistare Tripoli”.

IL RISCHIO TERRORISMO

Secondo le informazioni riferite a Formiche.net, Maiteeg ha fatto ruotare parte delle conversazioni anche sul tema terrorismo, che è stato tirato in ballo nella dichiarazione che ha seguito la telefonata Trump-Haftar, in cui è stato riconosciuto a quest’ultimo un ruolo sul dossier: “Il vicepremier – aggiunge la nostra fonte – ha parlato con gli americani di come dall’inizio della campagna su Tripoli in Libia si siano iniziate a muovere delle cellule dello Stato islamico”, che era stato sconfitto nella dimensione statuale insediata a Sirte dal mix di bombardamenti aerei statunitensi e azioni sul campo da parte dei miliziani di Misurata; la città-stato da cui viene Maiteeg che protegge il governo Serraj e ora si trova a respingere l’offensiva di Haftar su Tripoli. La narrazione sulla lotta al terrorismo è spinta con fini secondari da alcuni attori esterni che sostengono Haftar, come Egitto, Emirati Arabi e Arabia Saudita, che sono in scontro con le forze della Fratellanza musulmana che appoggiano gli anti-Haftar e Tripoli (come Turchia e Qatar).

IL RUOLO (ANTI-HAFTAR) DEL CONGRESSO

“Una cosa piuttosto importante – precisa la nostra fonte – è che il Congresso è ben posizionato contro Haftar (che tra l’altro è cittadino americano e potrebbe rischiare una condanna per crimini di guerra collegati alle vittime civili a Tripoli), e Maiteeg ha cercato di sfruttare questo spazio per chiedere l’assistenza politica di Capitol Hill nel tentativo di forzare il cessate il fuoco”. Quanto ci viene raccontato trova riscontro in un documento congressuale bipartisan firmato dai senatori democratici Bob Menendez, e Chris Murphy, e dai repubblicani Lindsey Graham e John Barrasso. “Siamo turbati dall’attuale offensiva militare di Khalifa Haftar e dal suo Esercito nazionale libico (l’Lna, la sua milizia. Ndr), preoccupati perché questa campagna minaccia i civili e può riaccendere una più violenta guerra civile”.

(Foto: il colloquio tra Maiteeg e Lindsey Graham a Washington)

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