È in corso a Bruxelles l’assemblea politica del Partito Popolare Europeo, non per una semplice analisi del voto ma per mettere a punto la strategia del Ppe che parte da una duplice consapevolezza. La prima è quella di aver vinto le elezioni europee, la seconda è certificare che Manfred Weber è il candidato alla Presidenza della Commissione Ue.
Così l’ex vicepresidente del Parlamento Europeo Mario Mauro, già ministro della Difesa e leader dei Popolari per l’Italia, presente al vertice che da Bruxelles spiega a Formiche.net non solo il nuovo corso del Ppe dopo le urne dello scorso 26 maggio, ma anche come una visione dell’Europa si intrecci oggi con le nuove pulsioni sociali che, ad esempio in Germania hanno portato i Verdi a salire e la Spd a crollare, con la leader dimissionaria e le possibili elezioni anticipate.
Come esce il Ppe dalle elezioni europee?
Seppur ridimensionato, il Ppe non è semplicemente il partito di maggioranza relativa, ma nei fatti è inaggirabile dal punto di vista della maggioranza che garantisca la nascita della Commissione Ue.
Ovvero?
La Commissione Ue non può essere varata senza il voto dei Popolari europei, a meno di un equilibrio che vada da destra a sinistra senza passare per il centro. In questo senso abbiamo chiarito una volta di più a noi stessi (e farlo nell’assemblea politica vuol dire chiarirlo a tutti) che l’obiettivo politico della famiglia popolare è uno solo: l’elezione di Manfred Weber alla Presidenza della Commissione Ue. Non perché si chiami Weber, ma perché incarna la figura dello spitzen kandidat, ovvero la persona che è il riflesso di una dimensione federale, non ancora realizzata, dell’Ue. Ecco il cuore vero della questione.
Cosa replicare a coloro che invocano la mancanza di esperienza di Weber?
Non vogliamo nascondere tale particolarità, ma esaltarla esattamente perché è espressione della dimensione parlamentare, di quell’unico organismo dell’Ue eletto a suffragio universale. Quella è Europa, tutto il resto è frutto degli asset e delle nomenklature degli Stati membri. Per cui se si vorrà far fare un passo avanti alla dimensione europea, bisognerà eleggere lo spitzen kandidat. Avremmo anche noi aderito all’elezione di un nome diverso da Weber, se quel partito avesse vinto le elezioni. Ma dal momento che le abbiamo vinte noi, il combinato disposto tra le due cose ci dice con chiarezza quale sarà il senso con cui ci accingiamo alla Commissione.
Ha incontrato la leader della Cdu, Annegret Kramp-Karrembauer?
Al momento non è intervenuta, perché impegnata nella crisi che si è aperta in Germania con l’abbandono della politica da parte del vertice della Spd, Anna Nahles. Si tratta di un momento molto delicato per la GroKo tedesca e l’insistenza con cui i tedeschi in Europa operano per coinvolgere nell’ipotetica coalizione che dovrebbe garantire i voti della Commissione anche la componente dei Verdi, mi fa capire che come al solito si stanno portando avanti col lavoro anche per le faccende interne.
Sarà sufficiente, dal punto di vista della Cdu, sostituire nella GroKo la Spd con i Verdi per stabilire un nuovo equilibrio?
Troverei piuttosto singolare che la Cdu faccia modifiche di coalizione senza passare attraverso il lavacro purificatore delle urne. Per quello che conosco i tedeschi, attribuiscono molta importanza al passaggio di democrazia partecipativa. Non immagino tanto una continuazione della legislatura, che possa avvenire variando il partner. Se la Spd si chiamerà fuori dall’esperienza di governo, ciò porterà ad elezioni anticipate in Germania. Uno scenario del tutto diverso dall’immaginare, come accade in Italia, che si prosegua cambiando radicalmente la composizione di governo. In secondo luogo non penso che nella cultura politica tedesca possa trovare spazio l’aver fatto un congresso eleggendo un segretario e poi andare alle urne con un’altra figura.
Alcuni analisti sostengono che Kramp-Karrembauer, delfina di Merkel, non abbia i requisiti necessari per la nuova stagione della Cdu. È così?
Non credo che questi fattori possano avere reale influenza sulle decisioni ultime della Cdu. Nel momento in cui quel congresso ha votato Akk, penso che il dibattito interno si fermerà tutt’al più sul fatto se far correre lei o il leader della Csu. Ma la cosa si ferma qui.
La Spd ha perso la battaglia sociale che invece stanno vincendo i Verdi?
Spesso dimentichiamo che è nell’alternanza democratica che si trova la base che garantisce il meglio della vita istituzionale nelle democrazie avanzate. Invece nelle grandi coalizioni viene a mancare qualcosa proprio nel meccanismo dell’alternanza. C’è un regresso dinanzi al proprio elettorato a cui si appare come quasi dei traditori rispetto alle istanze iniziali. Per cui gran parte dell’elettorato socialdemocratico, soprattutto nei luoghi culto dell’esperienza sociale tedesca, ha rotto con quel partito e ha trovato un nuovo referente, non tanto sulla scorta di nuovi temi quali la sola lotta alle emissioni, quanto nella rivalutazione dei temi storicamente cari alla sinistra tedesca.
Il cambio di leadership non è stato sufficiente, tanto nella Cdu quando nella Spd: come ripartire dall’anno zero?
Circa la Spd credo sia necessario, a questo punto, molto più di un cambio di leadership perché il problema è il socialismo europeo nella sua sostanza. Direi che più scintillanti sono i leader socialisti europei, più rapida è la loro crisi. In casa Cdu la situazione è molto diversa: i popolari si trovano in una condizione di convivenza di leadership, perché comunque al fianco di Akk si staglia la figura sicuramente ingombrante di Angela Merkel che in questo momento è ancora a capo del governo. Quindi prima di dare un voto ad Akk, credo con molta serenità occorra attendere la definitiva uscita di scena della Cancelliera.
Una circostanza già vissuta in passato…
Quanto tempo sarebbe rimasta la Merkel nel cono d’ombra del suo immenso predecessore Helmut Kohl, se il processo non fosse stato accelerato dalla nota vicenda giudiziaria? Eppure in seguito la Cancelliera, successore di Kohl, si è prestata al governo della Germania per oltre quindici anni. In che spiega come alla fine i numeri veri si esibiscono durante l’azione di governo e magari il periodo che interessa la nascita di una liason con l’elettorato in grado di decifrare la personalità di una leadership è poca cosa rispetto alla prova della storia.
Le ultime elezioni europee, in cui la contrapposizione tra pro Ue e anti Ue era fortissima, che hanno dato segnali interni di cambiamento a molti governi come in Italia, Grecia, Inghilterra, Austria e Germania, paradossalmente sono state proprio le più incisive dell’ultimo ventennio. Come spiegarlo?
Per la prima volta abbiamo avuto elezioni europee con un’opinione pubblica europea, nel senso che in molti Paesi si è ragionato sul fatto che un certo tipo di voto avrebbe potuto avere conseguenze anche in Europa. Può essere vero nel caso italiano, dove molti sperano che attraverso il successo della Lega si possa avere una condivisione europea paradossalmente di temi che oggi sono solo di competenza nazionale, come il dossier immigrazione. Parimenti è avvenuto in quei paesi che hanno affidato al voto delle europee la soluzione di stalli nazionali, flagrante il caso del Regno Unito. Un passaggio che ci fa capire quanto possa contare l’Europa su scala nazionale è l’intervento a gamba tesa di Donald Trump nella sua visita londinese. La dice lunga su quanto l’Europa che assume uno status federale possa diventare un cruccio anche per realtà straripanti come la principale forza militare ed economica del mondo.
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