Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Spie cinesi nella sanità Usa? Cosa rivelano le indagini dell’Fbi

La nuova Guerra Fredda fra Stati Uniti e Cina passa anche attraverso gli ospedali. L’Istituto nazionale di Sanità (Nih) americano, in collaborazione con il Federal Bureau of Investigation (Fbi), ha contattato 61 istituzioni sanitarie minacciando un’azione legale contro il presunto furto di proprietà intellettuale da parte di scienziati e impiegati legati a governi stranieri. Lo hanno rivelato alcuni ufficiali dell’agenzia federale americana, il più grande finanziatore pubblico al mondo di ricerca biomedica con fondi annuali intorno ai 26 miliardi di dollari, di fronte alla Commissione Finanze del Senato in un’audizione del 5 giugno. Le indagini sono il frutto di un cambio di postura dell’Fbi nell’ultimo anno di fronte a scienziati e ricercatori stranieri, prevalentemente cinesi. Così, spiega un lungo approfondimento di Bloomberg, negli ultimi mesi dozzine di accademici provenienti dall’ex Celeste Impero si sono ritrovati loro malgrado una coppia di agenti dell’Fbi ad attenderli all’aeroporto o davanti al portone di casa con una lunga lista di domande.

LE INDAGINI DELL’FBI A HOUSTON

Nell’occhio del ciclone, fra gli altri, è finito il prestigioso centro di ricerca sul cancro Md Anderson dell’Università del Texas, Houston. Le indagini degli agenti federali sono iniziate nell’estate del 2017, quando l’Fbi ha notificato al centro il rischio di “un possibile furto di ricerca dell’Md Anderson e di informazioni private”. Al monito ha fatto seguito una citazione in giudizio di una Gran giuria federale che ha messo sotto controllo per cinque anni le email di alcuni dipendenti del centro. E una richiesta dell’Fbi, il novembre successivo, per scrutinare gli account di altri 23 dipendenti. La maggior parte di origine cinese. Cinque di loro hanno ricevuto una visita a domicilio la scorsa estate dagli agenti federali, con annesso interrogatorio su presunti legami con il governo di Pechino, fermamente negati dagli intervistati. Così come è stato negato qualsiasi legame con il “Piano dei Mille Talenti”, un programma governativo cinese che ha come obiettivo il ritorno in patria degli scienziati e ricercatori cinesi più illustri all’estero con l’offerta di fondi, strutture e agevolazioni di ogni tipo. Un piano “China first” per arginare la fuga di cervelli negli Usa, almeno per il governo cinese. Non per il Consiglio dell’Intelligence Nazionale americano, per cui, sentenzia un report dell’estate 2018, avrebbe il solo obiettivo di “facilitare il trasferimento legale e illegale di tecnologia, proprietà intellettuale e know how americano” in Cina.

IL CASO WU DENUNCIATO DA BLOOMBERG

Il bilancio per il centro di Houston è pesantissimo. Quattro scienziati americani di origine cinese finiti sotto scrutinio dell’Fbi e dell’Nih hanno abbandonato il posto, altri due sono ancora sotto indagine. Bloomberg racconta la storia di Xufeng Wu, 57 anni, 27 dei quali spesi a studiare una cura contro il cancro all’Md Anderson dopo una laurea a Shanghai e un Phd all’Università del Texas. Il cv è di quelli da menzione d’onore. 87 pubblicazioni scientifiche, altre 540 co-firmate citate 23mila volte sul web. Le sue ricerche sul cancro in Messico le hanno guadagnato l’ambito ruolo di direttrice del reparto di Epidemiologia. Una carriera brillante interrotta bruscamente dalle indagini interne avviate su pressione dell’Fbi. La discesa ha avuto inizio nell’autunno del 2018, quando alti ufficiali dell’Nih hanno spiegato al direttore del centro di Houston Peter Pisters che cinque dipendenti erano sospettati di aver nascosto stipendi pagati in Cina e di aver rivelato informazioni confidenziali. Nella lista finisce anche il nome di Wu, che rifiuta di comparire di fronte alla commissione interna, e affida la sua difesa a dichiarazioni scritte. Le collaborazioni offerte da istituti cinesi, dice lei, sono solo a titolo onorario e dunque senza compenso. Il “commissario” interno non vuole sentire ragioni. Nel rapporto finale parla di “avverse inferenze”. La scienziata è costretta alle dimissioni il 15 gennaio successivo.

MACCARTISMO 2.0?

Il caso Houston è solo l’ultimo di una lunga serie. E in molti, specie nell’immensa comunità sino-americana (circa 5 milioni di persone, di cui 360mila studenti solo nel 2018, secondo un report dell’Institute for International Education), già parlano di nuovo “maccartismo” e “terrore giallo” in merito alle indagini del Federal Bureau. Nel mirino, ovviamente, c’è l’amministrazione Trump e la rinnovata assertività del governo federale sul dossier cinese, dal commercio alla Difesa passando per l’intelligence. E ora anche nel mondo accademico. Il pressing degli agent federali sulle agenzie governative si è fatto evidente lo scorso agosto. Quando il direttore dell’Nih Francis Collins ha indirizzato una lettera a 10mila istituti di ricerca chiedendo un più attento scrutinio dell’interferenza di “entità straniere”. Sul tema è tornato lo stesso Wray in aprile, ospite del Council on Foreign Relations. “La Cina è diventata pioniera di un approccio sociale per rubare l’innovazione da un ampio range di business, università e organizzazioni” ha detto il capo dei Servizi interni. Il cambio di approccio del Bureau, critica su twitter Peter Mattis, esperto del China Studies at Victim of Communism, ne sta minando la credibilità, “le sanzioni amministrative non sono trasparenti e a causa delle leggi sulla privacy offuscano il problema invece di chiarirlo”. Con il rischio, aggiunge il ricercatore, di mettere in sordina le decine di condanne definitive di agenti cinesi infiltrati nel mondo accademico. Il “pregiudizio” dell’Fbi verso cittadini di origini cinesi, secondo Bloomberg, è supportato dai numeri. Se dal 1997 al 2009 solo il 17% degli incriminati di spionaggio era di origine cinese, dal 2009 al 2015 quella percentuale è triplicata: 52%.

LA FUGA DEGLI STUDENTI

Il “terrore giallo” non tocca solo le cattedre. Anche i banchi degli studenti cinesi negli Stati Uniti cominciano a traballare. A inizio giugno il Ministero dell’Istruzione cinese ha pubblicato un comunicato che mette in guardia chi vuole andare a studiare negli Usa. Il motivo? “Per un certo tempo i permessi concessi dagli Stati Uniti agli studenti cinesi potrebbero essere ristretti, con un ampiamento del periodo di revisione, una restrizione di validità e un aumento dei rifiuti”. Il contraccolpo è visibile nei numeri. La crescita degli studenti cinesi diretti alla volta degli States ha subito una brusca frenata, la metà nel 2018 rispetto all’anno precedente. In compenso, stando ai dati del governo cinese, nei primi tre mesi del 2019 la percentuale di alunni cui è stato negato un permesso è stata del 13,6% contro il 3,2% dei primi tre del 2017. Un danno collaterale della guerra commerciale in corso con il governo cinese, certo. Che però può tornare utile a Trump, fa notare Forbes con un recente editoriale al vetriolo. Chi guadagna di più dall’apporto degli studenti cinesi è proprio l’élite dei college americani, che sulle rette degli studenti internazionali costruiscono gran parte del bilancio. È il caso della Ivy League, che fin dall’inizio non ha risparmiato dure stoccate all’amministrazione Trump. Il presidente si vuole togliere un sassolino dalla scarpa? Non sarebbe la prima volta…

 

 

×

Iscriviti alla newsletter