La premier dimissionaria Theresa May lascerà Downing Street a breve, ma la possibile presenza di Huawei nelle reti 5G britanniche continuerà ad essere un tema cruciale nei rapporti tra Washington e Londra. Per questo, assieme alla Brexit e all’Iran, nel colloquio tenuto con il presidente Donald Trump, allargato alle delegazioni, uno spazio non marginale è stato occupato proprio dal dossier telecomunicazioni.
VERSO UN’INTESA?
Al termine degli incontri, rispondendo a una domanda nella conferenza stampa congiunta, l’inquilino della Casa Bianca ha escluso ripercussioni per l’alleato in caso di utilizzo di tecnologia cinese, perché, ha detto “troveremo assolutamente un accordo su Huawei e su tutto il resto. Saremo in grado di risolvere le nostre differenze”. Che al momento sono numerose e non di poco conto secondo gli osservatori.
IL TEMA 5G
Della questione si era iniziato a parlare già alla vigilia della visita del capo di Stato americano, quando alcuni funzionari dei due Paesi, parlando con il Financial Times, avevano lasciato intendere che il magnate repubblicano avrebbe fatto presente, senza troppi giri di parole, quanto già anticipato a più riprese dal capo della diplomazia statunitense, Mike Pompeo (recatosi nella capitale del Regno Unito l’8 maggio). Ovvero che se Londra dovesse adottare tecnologie del colosso di Shenzhen nelle sue reti di nuova generazione, ciò potrebbe compromettere la condivisione di intelligence tra le due nazioni, entrambe legate in modo fortissimo – per quanto riguarda l’information sharing – dalla comune appartenenza alla coalizione di Paesi anglofoni Five Eyes (della quale fanno parte anche Canada, Australia e Nuova Zelanda).
LE DIVERGENZE
Questa ‘relazione speciale’, però, evidenzia il Times, rischia di essere minata dal fatto che il governo britannico – a differenza di quello statunitense – sembrerebbe convinto che, confinando la partecipazione di Huawei alla realizzazione delle parti “non core” della rete 5G, si possano limitare i rischi per la sicurezza nazionale del Regno Unito e per quella degli alleati occidentali. Una valutazione che Washington considera errata, ha spiegato nelle scorse settimane il più alto funzionario cyber del Dipartimento di Stato americano, Robert Strayer, perché ritiene che un singolo punto di debolezza pregiudichi la sicurezza dell’intera rete. E ciò, ha evidenziato (assieme ad altri esperti) è ancora più vero se si parla di 5G, tecnologia caratterizzata da grande velocità di risposta – la cosiddetta bassa latenza – che secondo gli addetti ai lavori richiede tecnicamente una attività di elaborazione dati che avviene più ai margini dell’infrastruttura che non al centro.
UNA QUESTIONE STRATEGICA
La ragione di questa vasta campagna di sensibilizzazione, ha spiegato l’amministrazione Usa, non nasce però solo da timori tecnici. La convinzione di Washington è che i colossi cinesi della tecnologia possano potenzialmente trasformarsi in veicoli di spionaggio a beneficio di Pechino, in virtù soprattutto di una Legge sull’intelligence che obbliga le aziende della Repubblica Popolare a collaborare con la madrepatria. Ma le preoccupazioni americane sono addirittura più estese. La rete ultraveloce 5G, hanno spiegato i funzionari americani, comporterà un cambiamento davvero significativo rispetto a quello che si è visto sinora. In primo luogo si connetterà a una moltitudine di dispositivi Iot. Tutto, dalla telemedicina alle reti di trasporto passando per veicoli e poli produttivi, si appoggerà a questa rete, la cui velocità supererà in prospettiva di oltre 100 volte quella che presenta attualmente nelle reti 4G. Ragion per cui, dal punto di vista degli Stati Uniti, sarebbe sconsiderato lasciare la possibilità a un Paese ritenuto non amico, come la Cina, la possibilità di interrompere il funzionamento di infrastrutture critiche e l’erogazione di servizi essenziali.
LA DECISIONE DI LONDRA
Sebbene la decisione sul consentire o meno a Huawei di partecipare alla implementazione del 5G di Londra non sia stata ancora ufficialmente presa, a preoccupare Washington ci sono però le indiscrezioni finora trapelate con grande clamore ed effetti a catena anche nella composizione della compagine al governo. Il primo maggio la May ha licenziato in tronco il segretario alla Difesa Gavin Williamson, accusato di aver confidato al Telegraph l’esito di una riunione del Consiglio di Sicurezza Nazionale britannico durante la quale la premier avrebbe ignorato le obiezioni di alcuni consiglieri, compreso l’ex ministro, sull’opportunità di consentire una partecipazione del colosso cinese nelle nuove reti (frutto, evidenziano alcuni addetti ai lavori, soprattutto della volontà di Londra di lasciare quante più porte aperte possibili prima dell’uscita dall’Unione europea).
Ad aumentare il fronte del no al 5G made in Cina nel Regno Unito c’è la recente segnalazione di alcune presunte falle riscontrate oltremanica (e non solo) – secondo documenti ottenuti da Bloomberg – nelle apparecchiature della compagnia cinese. Ma anche le notizie, emerso sulla stampa britannica, che mesi mesi addietro Washington avesse comunicato a Londra, e agli altri Paesi che compongono i ‘Cinque occhi’, l’esistenza di un supposto finanziamento dell’intelligence di Pechino alla telco cinese, nonché di dubbi circa la vera proprietà dell’azienda, che invece continua a dichiararsi privata.