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Tutto Trump al G20. La posta in gioco ai bilaterali del Prez

A Osaka, in Giappone, si sta svolgendo il G20, l’incontro annuale tra i grandi del pianeta e come sempre più che le sedute di meeting generali, hanno valore sostanziale i faccia a faccia tra leader. Quelli che vengono definiti vertici laterali, riunioni arrangiate in stanze, chiuse alla stampa nel momento delle discussioni, che rappresentano la possibilità per sviluppi futuri. Un occhio particolare, quanto meno per la dimensione che rappresenta, va a Donald Trump – e mai come adesso che il trumpismo sta rottamando il multilateralismo e riaprendo alle relazioni bilaterali tra stati. Tanti gli incontri calendarizzati per il presidente americano: proviamo a tracciare gli scenari dell’agenda.

IL FACCIA A FACCIA CON PUTIN...

Oggi il Commander in Chief ha visto il russo Vladimir Putin. “Un grande onore” incontrarlo di nuovo, ha detto Trump ai giornalisti presenti per la photo-opp, e spiegato che avevano molto da discutere, a partire da commercio e “protezionismo”, ma anche di controllo degli armamenti. Le relazioni generali tra Russia e Stati Uniti non sono ottime, c’è stato lo strappo proprio su un protocollo legato alle armi nucleari a medio raggio (l’Inf) e poi ci sono le sanzioni post-Crimea e il rapporto con l’Ucraina. Trump segue come obiettivo quello di una dottrina politica che vede nell’avvicinamento a Mosca l’opportunità di mantenere la Russia più verso Occidente e non farla scivolare in mano cinese: è un argomento freschissimo, perché prima del G20 Putin ha rafforzato l’alleanza con Pechino in due incontri dal sapore regionale e tutto geopolitico (regione eurasiatica-pacifica).

… PENSANDO ALLA CINA

Trump per questo accetta alcune discrepanze russe pur di raggiungere il suo obiettivo profondo (e forse per l’anniversario della Wwii del prossimo maggio sarà a Mosca), gli apparati americani molto meno (vedere per esempio la bozza di legge per la Difesa approvata al Senato ieri). C’è stato anche un siparietto che ha toccato uno dei nervi scoperti: un giornalista ha fatto a Trump una domanda sulle interferenze sulle elezioni del 2016, se ne avesse chiesto conto al russo anche in vista delle prossime presidenziali del 2020. L’americano ha risposto “certo”, poi si è girato, ha sorriso a Putin e gli ha detto: “Non immischiarti con le elezioni, per favore”.

Prima di Putin la delegazione americana e quella australiana avevano inaugurato il giro di meeting: con l’Australia – come con la Russia – l’elemento di fondo è stato sempre la Cina. Canberra subisce le penetrazioni cinesi come pochi altri Paesi, e anche per creare deterrenza su questo gli americani progettano con gli alleati di spostare un gruppo di Marines americani su un porto australiano che si affaccia sulle acque contese del Mar Cinese.

IL MEETING CON XI

La Cina è il grande elemento di contatto e contrasto per gli Stati Uniti, e passa anche attraverso il G20 un tentativo di stabilizzazione delle relazioni. Trump vedrà anche Xi Jinping mentre i contatti a livelli intermedi per trovare intanto una quadra allo scontro commerciale procedono. Pechino ha fatto sapere di essere disposta ad accettare il dialogo, anche un accordo, ha messo sul piatto qualche concessione strutturale (cosa già fatta nei mesi scorsi, salvo poi far saltare il tavolo), ma i cinesi hanno già chiesto come contropartita che gli Stati Uniti rinuncino alle loro politiche aggressive contro le ditte cinesi.

Sul banco, in primis, la Huawei, la ditta delle tel-co di Shenzen contro cui gli americani hanno messo in piedi un vero e proprio fronte di guerra chiedendo a tutti gli alleati di escluderla dai propri mercati in quanto considerata pericolosa per la sicurezza nazionale Usa & Co. (perché i suoi sistemi potrebbero lasciare spazi per lo spionaggio cinese). Huawei è un simbolo per Pechino: se Trump accettasse passi indietro significherebbe una vittoria, minima ma simbolica; Washington sa di rischiare di apparire debole accettando compromessi, anche perché significherebbe stracciare dozzine di analisi e report di militari e intelligence diffuse a supporto della linea tenuta finora.

ERDOGAN E I SUOI PROBLEMI

Trump ha visto anche il presidente turco Recep Tayyp Erdogan con cui non corrono relazioni speciali. I turchi nelle ore precedenti all’incontro tra i due leader hanno attaccato postazioni dell’esercito siriano al confine, ed è proprio il dossier Siria – discusso anche con Putin – ad aver creato la distanza tra Ankara e Washington. La Turchia pensava che con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca i rapporti tra i due alleati Nato sarebbero migliorati rispetto alla freddezza che il predecessore Barack Obama aveva riservato a Erdogan, ma così non è stato. E Ankara è smottata verso la Russia, tema dietro a uno dei punti dolenti tra i due Paesi. I turchi stanno procedendo con l’acquisto degli S-400, un sistema missilistico russo che gli Stati Uniti vogliono fuori dal mondo Nato. Sull’affare hanno minacciato sanzioni, ma Erdogan ha detto anche ieri di non aver mai parlato di questo con Trump.

MBS E L’IRAN

Domani mattina Trump avrà una colazione di lavoro con l’erede al trono saudita Mohammed bin Salman e si parlerà di due dossier particolarmente caldi e intrecciati (mentre uno, il caso Khashoggi, resterà di certo fuori dai colloqui, almeno formalmente): i temi saranno il prezzo del petrolio e il confronto con l’Iran. Su entrambi pesano la Russia (primo produttore di petrolio non-Opec e alleato strategico iraniano) e la Cina (primo acquirente di greggio dal Medio Oriente, Iran compreso). Trump ha garantito ai sauditi una politica regionale molto aggressiva con l’Iran, nemico giurato di Riad, in discontinuità con la precedente amministrazione che invece aveva firmato l’accordo sul nucleare nel 2015. Però vuole dal regno un comportamento più accondiscendente sul petrolio: i sauditi lavorano con la Russia per mantenere i prezzi alti – e dunque allentano le produzioni – invece Trump vuole mantenerli bassi alla pompa (è la misura che più tocca il consenso degli elettori).

E in questo ci rientra, ancora, l’Iran: quando Washington ha deciso di togliere le esenzioni sull’export petrolifero iraniano concesse a otto paesi, ha annunciato di aver ottenuto il bilanciamento delle produzioni generali con l’aiuto dei sauditi, che però invece in sede Opec+ lavorano per tagliarle. La questione si allarga perché la collaborazione con Riad si porta dietro l’architettura della politica di sicurezza regionale in Medio Oriente: per esempio, quattro giorni fa le forze speciali saudite coordinate da advisor e droni americani hanno catturato Abu Osama al-Muhajir, il capo della filiale baghdadista yemenita. Riad ha usato l’operazione come spin politico a tutela dell’impegno in Yemen, che è concentrato sul fronte del contenimento dei ribelli Houthi, una guerra che ha prodotto molte vittime civile e tante polemiche che i sauditi combattono anche per procura con l’Iran, che fornisce aiuti ai ribelli. Anche la guerra in Yemen, con le posizioni critiche prese dal Congresso, probabilmente resterà fuori dai colloqui con MbS.

GLI ALLEATI: UE ANCORA IRAN, MA NON SOLO, INDIA E GIAPPONE

Di Teheran Trump parlerà anche con i vari alleati europei con cui avrà confronti diretti, perché è uno dei dossier dove le distanze tra Washington e Bruxelles sembrano più nette. Il francese Emmanuel Macron ha dichiarato ieri che cercherà di usare i tavoli del G20 per preservare l’accordo sul nucleare con l’Iran – canali secondari sino-russi potrebbero convincere gli iraniani a non sforare i limiti consentiti di uranio e arricchimento – e per dissuadere Trump dalle politiche aggressive. Che qualcosa si sta muovendo è possibile: ieri il presidente americano si è mostrato molto disponibile con l’Iran, ha detto di non aver fretta, e di aspettare Teheran a un tavolo di negoziati (che Macron dice servirà a entrambi).

Ma non c’è solo l’Iran, l’altro grande tema degli incontri con gli europei – per esempio con Angela Merkel – è il commercio. C’è un accordo per gli interscambi in fase di costruzione, ci sono le minacce trumpiane sull’innalzamento delle tariffe su vari prodotti in entrata dall’Ue (l’automotive, per dirne uno, che interessa particolarmente a Berlino). Aspetti commerciali sono stati anche dietro all’incontro con l’indiano Nerendra Modi, ma anche qui c’è una questione più strategica: la Cina. L’asse che Washington vuol costruire con l’India serve anche a mettere un freno all’espansionismo cinese della Bri verso la fascia dell’Asia Meridionale (come anticipato nel viaggio indiano del segretario di Stato, Mike Pompeo). Oltre al faccia a faccia diretto, Trump ha visto Modi nel trilaterale a cui ha partecipato anche il padrone di casa, Shinzo Abe. La presenza del Giappone dà la dimensione strategica del vertice a tre, proiettato su un’area per cui il Pentagono ha rinominato il comando regionale IndoPacCom (prima era solo Pacific Command).

(Foto: G20 Osaka, la foto ufficiale del summit)

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