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Conte? È il vincitore (ma non faccia il vanesio)

Il vincitore assoluto (ad oggi) di questa fase politica post-elezioni del 26 maggio è il premier Conte. A testimoniarlo sono tre fatti certi e tra loro collegati, che vale la pena esporre subito prima di guardare alle conseguenze. Innanzitutto c’è la chiusura della procedura d’infrazione, che Bruxelles teneva come spada di Damocle sull’Italia (con scarsa evidenza tecnica) per provare a condizionarne le esuberanze politiche. Ebbene il premier è riuscito a liberare il suo governo da quell’insidioso vincolo esterno, guadagnando così un grado di libertà che tornerà assai utile (vedasi alla voce spread).

Poi c’è l’elezione di Ursula Von der Leyen a presidente della Commissione Ue, avvenuta con il voto determinate dei 14 parlamentari europei del M5S e con il voto contrario dei leghisti. Qui si è consumata una frattura nella maggioranza di governo, ma proprio questa frattura finisce per esaltare il ruolo di Conte, certamente tra gli ispiratori del comportamento della pattuglia guidata a Strasburgo da Fabio Massimo Castaldo. Infine c’è il pasticcio russo, che mette (per la prima volta) in difficoltà Matteo Salvini. Le conseguenze di più ampio respiro le vedremo col passare del tempo, ma un primo dato è già evidente: l’effetto valanga dopo il poderoso risultato della Lega alle Europee non c’è e non ci sarà, poiché (come si evince chiaramente dalle interviste di oggi del ministro dell’Interno) le elezioni politiche non sono materia di questo 2019.

Salvini infatti assegna al governo tre compiti prioritari (autonomie, giustizia e manovra economica), tre missioni che da un lato chiariscono la volontà della Lega di passare ai fatti concreti ma dall’altro rendono evidente che c’è da lavorare per alcuni mesi, altro che fare le elezioni. Ecco allora che tutto riporta a Conte, perché solo lui potrà trovare una sintesi su tutti e tre quei dossier (in particolare in vista della manovra) e solo lui potrà fungere da soggetto equilibratore di una maggioranza che ormai è sbilanciata, sfilacciata, incattivita anche nei rapporti personali. Tutto ciò è ancor più vero dopo il voto di Strasburgo, poiché mentre prima Conte era il premier di un governo totalmente escluso dagli accordi che contano, oggi lui è il primo ministro di un governo che ha nella sua maggioranza il più forte movimento politico “sovranista” d’Europa (quindi inviso all’establishment europeo), ma anche un partito (peraltro quello a lui vicino) senza il cui voto la Van Der Leyen sarebbe tornata nella sua Hannover con le pive nel sacco. Insomma oggi Conte è forte più che mai (complice il “soldato” Savoini). Faccia però attenzione a non peccare di vanità. La sua lettera di oggi a Repubblica è un po’ barocca ed autocelebrativa. In politica, vecchia regola, è assai sconsigliabile montarsi la testa.

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