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Così la Cina ha rubato il futuro ad Hong Kong. La versione di Forchielli

“Quello che sta succedendo a Hong Kong in questo momento è legato a un fatto: i giovani non vedono più una prospettiva futura, almeno non ciò che erano abituati a pensare per loro”, ci dice Alberto Forchielli, managing partner di Mandarin Capital Partners, economista, opinionista, conoscitore profondo e attento del mondo cinese e asiatico. Perché, cosa sta succedendo? “Succede che la Cina continentale ormai s’è presa Hong Kong, e i giovani vedono gli spazi di libertà a cui sono affezionati via via restringersi verso Pechino. Se si cambiano i libri di testo a scuola, se non esiste più opposizione, vuol dire che ormai la Cina è ovunque. E intendo dire che è proprio presente fisicamente ovunque a Hong Kong: aprono uffici, comprano case, non è più una città internazionale, è una città cinese adesso”.

LE PROTESTE E LA CRISI

Sembra un processo che richiede tempo, perché adesso tutta questa gente in piazza? “Le proteste non sono una novità, ce ne sono state altre”, ci dice Forchielli. Queste attuali si legano a una proposta di legge dell’amministrazione locale sulla possibilità di estradizione in Cina per alcuni reati. È stata una legge sostenuta anche da figure del governo cinese, e anche per questo è stata considerata restrittiva da molti honkonghesi, generando proteste nelle scorse settimane, che hanno portato la governatrice della città-stato, Carrie Lam, a tornare sui suoi passi e congelare il provvedimento ottenendo anche un rallentamento delle manifestazioni. Ma ieri si sono rinfocolate in occasione dell’anniversario della riconsegna della sovranità della provincia semiautonoma dal Regno Unito alla Cina (era il 1997) e alcuni manifestanti hanno fatto irruzione nel parlamento locale.

La legge sull’estradizione è un pretesto, il grilletto di innesco di una crisi più profonda, spiega Forchielli: “Non va sottovalutato il contesto. Quella inquietudine per la profondità della penetrazione cinese si mischia alla contrazione anche delle prospettive economiche. I giovani hongkonghesi ormai sanno che se vogliono lanciare la loro carriera devono andare in Cina, e lavorare in una società cinese. Le aspettative sono diverse da prima, no? Passare dal lavorare per un padrone internazionale a uno cinese è un problema: anche perché i cinesi non amano i cittadini di Hong Kong, li inquadrano come una provincia che li ha sempre sfruttati per godersi ricchezza ed emancipazione. E non è che un giovane di HK vede, apre il mondo, prende e va via: ha molte meno possibilità di uscire che uno italiano, che ha la forza di poter andare ovunque in Europa. Ormai c’è quasi solo la Cina, ed è difficile che uno di loro faccia carriera in un’azienda statale cinese”.

IL PESO DELLA CINA

È una questione profonda, sociale e culturale, dunque? “I cittadini di Hong Kong, soprattutto i giovani chiaramente, si sentono sempre più in trappola, figli di un regime repressivo che non li ama, che ritiene che sia arrivato il momento di sculacciarli. Moderate prospettive economiche, scarse possibilità di fuga e riduzione degli spazi democratici, delle libertà, della democrazia insomma. Poche altre possibilità se non fare manifestazioni e proteste”.

Ma con quale obiettivo, e portandosi dietro quale reazioni da parte della Cina? “Parliamoci chiaramente: difficile, per non dire impossibile, che queste proteste si portino dietro qualcosa. Difficile altrettanto che Pechino ordini colpi di mano, la repressione sarà silente. Ci andranno con calma, ma la Cina è intenzionata a stringere sempre di più”.

I RISCHI PER PECHINO

Non c’è il rischio che questa situazione si rifletta anche su un altro dossier delicato per la Cina come Taiwan? “Certo, e per questo Pechino non perderà la calma. A Taiwan, dove le libertà democratiche sono superiori a quelle di Hong Kong, c’è sempre stata divisione tra le posizioni indipendentiste e quelle di chi vorrebbe il riunificazione. Ora l’attuale presidente era sulle prime posizioni, ma in vista della rielezione aveva sondaggi sfavorevoli fino all’inizio delle proteste a Hong Kong, che hanno innescato il supporto dei taiwanesi e lei è tornata a crescere. Pechino non vuole correre questo rischio: i cinesi accarezza i cittadini di Taiwan, soprattutto i giovani e gli studenti, sono protettivi, gli offrono possibilità, vogliono avvicinarli alle loro posizioni, ma poi succedono cose del genere e si rischia di buttare via anni di sforzi”.

Secondo Forchielli tutta la situazione è da inquadrare in questo contesto articolato che riguarda anche l’idea che la Cina, con la Russia, vuol far passare di sé e del proprio ordine interno, “un’offensiva anche mediatica per dire che il sistema liberale è ormai obsoleto, non funziona più, e che un controllo più forte dà migliori prospettive per il futuro: le persone iniziano anche a crederci, ma certo, se ti metti a reprimere una protesta a Hong Kong e ammazzi centinaia di studenti a quel punto ti crei qualche difficoltà, no?”.

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