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Non è tempo di salario minimo. Parola di Confindustria

Chi ha paura del salario minimo? Le imprese italiane sicuramente sì. A un mese e mezzo dalla manovra (qui l’intervista al viceministro dell’Economia, Laura Castelli), la misura cara al Movimento Cinque Stelle (8-9 euro l’ora per i lavoratori subordinati) che dovrebbe nei desiderata di Luigi Di Maio finire nell’ex Finanziaria, agita il mondo industriale. Non è la prima volta che Confindustria esprime dubbi sul salario minimo (qui l’intervista al dg Marcella Panucci): non convince il giochino che vorrebbe un aggravio di spesa per le imprese in cambio di una sforbiciata al cuneo fiscale, sa troppo di promessa non mantenibile, dicono le imprese. Le quali sono tornate a criticare il provvedimento grillino, in un documento redatto dal Centro Studi di Viale dell’Astronomia.

SALARIO MINIMO, NO GRAZIE

La preoccupazione degli imprenditori è tutta in poche righe, alla fine del documento. “L’analisi dei dati di bilancio evidenzia una notevole eterogeneità negli andamenti della redditività, a seconda della dimensione di impresa. Per le piccole, i proventi netti operativi erano molto ridotti nel 2017 rispetto ai già bassi valori pre-crisi. Anche per le grandi aziende erano sotto i valori del 2007, ma su livelli sempre più alti rispetto alle piccole. Le medie, invece, erano riuscite ad accrescere i proventi in modo marcato, avvicinandosi ai livelli delle grandi. L’erosione partita nel 2018, quindi, non fa che aggravare la situazione delle piccole imprese, che partivano da livelli di redditività già esigui”, è la premessa. “A fronte di tale compressione della redditività delle imprese già in atto, suscita preoccupazione la proposta, in esame in Parlamento, di introduzione di una retribuzione lorda minima oraria, fissata a 9 euro. Tale livello sarebbe pari a oltre l’80% della retribuzione mediana oraria italiana, in netto disallineamento rispetto a ciò che accade nei 22 paesi Ue in cui esiste già un salario minimo legale, dove esso rappresenta, mediamente, appena il 45% del salario mediano.… eroderebbe ancor più i margini“.

DANNI A CINQUE STELLE

Per Confindustria non è abbastanza, i danni di tale misura sarebbero su larga scala e non solo circoscritti alle imprese. “Un livello di salario minimo così elevato in Italia rischia di avere ampi effetti negativi su occupazione e crescita economica. Esso causerebbe, infatti, un forte aggravio di costo per le imprese che, se non traslato sui prezzi finali (come probabile, nel debole contesto attuale), si tradurrebbe in un’ulteriore compressione del Mol (il margine operativo lordo, ndr) dell’1,6%, secondo stime Istat riferite al settore privato non agricolo. L’impatto sui margini, peraltro, potrebbe essere pari a oltre il doppio di tale valore, stando a stime Inps. … specialmente per le piccole imprese”. Addirittura “gli effetti negativi del salario minimo potrebbero essere più ampi per realtà aziendali meno produttive, quali mediamente sono le imprese di piccole dimensioni e quelle localizzate nel Mezzogiorno. Basti pensare che 9 euro orari rappresentano quasi il 90% della retribuzione mediana delle imprese fino a 9 dipendenti e di quelle localizzate nelle regioni del Sud Italia”.

L’ITALIA DELLA CRESCITA ZERO

Chiuso il capitolo salario minimo, l’Italia continua a soffrire di anemia grave. “Per l’economia italiana si conferma la crescita zero, con qualche segnale di miglioramento nel secondo semestre del 2019, grazie al calo dei tassi sovrani e a una schiarita per i consumi”, ha scritto Confindustria. “Ma gli investimenti privati sono in peggioramento e la crescita dell’export è fragile, frenata da scambi mondiali fermi e industria europea in affanno”. Un dato positivo è almeno il costo del nostro debito. “A luglio si è accentuata la discesa del tasso sul Btp decennale (di oltre sei decimi, all’1,66%). Negli altri paesi dell’Eurozona il calo è stato minore, perché i rendimenti erano già scesi molto a giugno. Ma i rendimenti italiani restano troppo alti: Francia e Belgio sono entrate nel club dei tassi negativi, con Irlanda e Germania (-0,36%); la Spagna è poco sopra (0,36%).



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