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La carta segreta del M5S? È Conte. Parola di Aldo Giannuli

“Buone le intenzioni, meno la realizzazione” amava dire un grande telecronista della Rai come Bruno Pizzul. Un motto che, mutatis mutandis, dovrebbe risuonare a monito per Matteo Salvini, ora che ha deciso di staccare la spina al governo Conte. Il leghista reclama il voto subito. Ma fra lui e le urne, dice a Formiche.net Aldo Giannuli, storico e politologo, c’è più di un ostacolo.

Dalle parole ai fatti. La Lega sfiducia il premier Conte.

Era inevitabile. La crisi doveva approdare in Parlamento. Certo, non è una buona fotografia per Salvini.

Cioè?

La campagna elettorale si apre con la Lega che vota assieme al Pd una mozione di sfiducia al premier del suo governo. A molti elettori non piacerà.

Perché Salvini ha scelto di rompere proprio ora?

Non aveva scelta. Se avesse votato il taglio dei parlamentari non sarebbe tornato alle urne prima di maggio del 2021.

Addirittura?

È la procedura. Senza una maggioranza di 2/3 serve il referendum confermativo. Dunque l’approvazione di Corte di Cassazione e Corte Costituzionale, poi la campagna elettorale. Senza contare che una simile riforma ridurrebbe drasticamente i collegi, che dovrebbero essere ridisegnati, un’operazione tecnica che richiede tempo.

Il leader leghista non sembrava convinto fino a pochi giorni fa.

Giancarlo Giorgetti gli ha fatto cambiare idea. Un ragionamento politico così raffinato non può provenire da Salvini. Poi ci sono altri fattori. Il pressing dei suoi, soprattutto dei governatori del Nord. E una finanziaria che non gli avrebbe fatto portare a casa la flat tax, e avrebbe senz’altro aumentato l’Iva. Meglio chiedere i voti prima. Sempre che Mattarella glielo permetta.

C’è un piano B?

Più di uno. C’è già stata una prima reazione di borse e spread, presto arriveranno i moniti da Bruxelles. Il presidente ha l’ultima parola sullo scioglimento delle camere. Un governo di garanzia per scrivere la legge di stabilità e andare alle urne in primavera non è fantascienza. Può nascere con i voti dei Cinque Stelle e l’astensione del Pd. E parecchi parlamentari di Forza Italia ci farebbero un pensierino.

Sarà, ma Zingaretti chiama a gran voce il voto. E ha concordato con Salvini la stesura della mozione pro Tav.

Il segretario dem vorrebbe capitalizzare e aumentare il voto delle europee per presentarsi come unico sfidante della Lega, ma i sondaggi non danno il Pd in partita. E Mattarella potrebbe non assecondarlo.

Lei ha conosciuto bene il Movimento Cinque Stelle. Che succede adesso?

Di Maio è finito, la sua leadership definitivamente tramontata. Il Movimento non è competitivo con la Lega. Non può puntare a vincere, ma può cercare di evitare che Salvini ottenga la maggioranza assoluta.

Come?

Con quello che in America chiamano dream ticket. Un triumvirato formato da Giuseppe Conte, Alessandro Di Battista e Roberto Fico, per attirare rispettivamente moderati, astenuti e elettori di sinistra.

Piccolo intoppo: Fico, e con lui quasi tutti i leader M5S, ha esaurito i due mandati.

Qual è il problema? (ride, ndr). Semplice, cambieranno lo statuto. Diranno che una legislatura di 15 mesi non conta come secondo mandato. Oppure possono chiedere a Conte di costruire una lista parallela e alleata che strizzi l’occhio ai moderati, dove ricandidare i leader M5S in uscita.

Insomma, Conte rimane un asset. Ieri ha attaccato duramente Salvini e la Lega. Si è dimostrato un vero Cinque Stelle?

Un vero leader. Ha tirato fuori una grinta ben lontana dall’immagine di premier che si erano prefigurati Salvini e Di Maio quando hanno firmato il contratto. La carta Conte è vincente. Ha un seguito, e può rivendicare di aver appena risparmiato all’Italia una procedura di infrazione Ue, non è poco. Se scende in campo può riportare i Cinque Stelle sopra anche al 23-24%.

Chi tra lui e Di Battista è il vero sfidante di Salvini?

Nessuno dei due. Se vuole recuperare terreno il Movimento deve abbandonare la logica dell’uomo solo al comando e costruire una coalizione dirigente.

Professore, quanto ha contato il fattore Usa nella rottura di Salvini? Il pressing da Washington sui dossier dimenticati dal governo come 5G e F-35 ha avuto la sua parte?

Più che il fattore Washington ha contato il fattore Mosca. La sberla che ha preso Salvini con l’affare Metropol è solo un antipasto di quel che verrà. Come da caso di scuola nel mondo dell’intelligence, questa inchiesta uscirà fuori a puntate. L’ultima ieri, con i viaggi non documentati di Savoini e D’Amico. La prossima a settembre.

Gli americani guarderebbero con favore al ticket Salvini-Meloni?

Parliamoci chiaro. Il fatto che Salvini sia andato a Washington a votarsi a Trump non significa che la stima sia ricambiata. L’amministrazione Usa non può fidarsi ciecamente di uno che fino al giorno prima ha baciato e abbracciato Vladimir Putin. Questi giochini li poteva fare Giulio Andreotti, non Matteo Salvini.

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