I vertici dell’amministrazione statunitense stanno pianificando viaggi in Europa per le prossime settimane e la domanda è: l’Italia sarà una tappa? Per ora non c’è niente in agenda, ma è evidente che resta poco tempo a Roma per dare segnali espliciti e positivi che a Washington possano essere colti come segni di discontinuità rispetto agli ultimi mesi di azione di governo italiana, che non sono piaciuti troppo agli Stati Uniti. E trasformare la Penisola come una tappa anche solo mentale delle dinamiche giocate in Europa dagli Usa.
Quando il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, arriverà nel Vecchio continente nei primi giorni di ottobre (prima in Polonia e poi in Grecia) e quando il presidente Donald Trump sarà in Germania (come annunciato ieri alla chiusura del G7), per l’Italia sarà un momento importante e delicato a prescindere dai risultati delle nuove consultazioni indette dal Quirinale per risolvere rapidamente lo stallo politico.
Che ci sia un qualche nuovo governo, o che si voti a causa dell’impossibilità di trovare sostegno politico a un esecutivo, gli Stati Uniti avranno un interlocutore con cui risistemare i rapporti. E altrettanto toccherà all’Italia, nell’ottica di un’amicizia fondamentale.
Roma e Washington sono parti di un’alleanza imprescindibile. Gli Usa sono il primo partner internazionale italiano, ed è una partnership che non si gioca solo sulle questioni economiche (pur rilevanti: quasi sessanta miliardi di euro di interscambio), ma anche su aspetti strategici (l’hub della Sesta Flotta è a Napoli, altre importanti basi Usa e congiunte Nato sono in varie regioni italiane), e soprattutto come riferimento profondo. Gli Stati Uniti sono la rosa dei venti dell’insieme di valori, virtù e visioni che il mondo Occidentale incorpora nel suo messaggio storico, di cui l’Italia è parte.
E dunque, il cruccio centrale della prossima leadership del Paese diventa ricompattare i pezzi di un’alleanza apparentemente indebolita, seguendo gli istinti anti-americanisti di alcuni elementi di una delle due compagini ancora al governo (il M5S) e ricorrendo un atteggiamento affaristico con cui s’è fornita esposizione alla Cina (rivale americana su cui Washington sta creando polarizzazione di campo) con la firma sul memorandum per aderire alla Bri.
C’è stato, soprattutto negli ultimi mesi, uno spostamento esplicito di Matteo Salvini verso una linea più americanista e atlantista su diversi dosser, a cominciare dalle critiche parziali sull’esposizione alla Cina – inefficaci nella conclusione dell’accordo, tuttavia – o dalla volontà con cui la Lega ha calcato progetti come quello degli F-35, che rappresentano la Via della Seta americana, strumento con cui Washington sta ricostruendo il nuovo pattern delle alleanza profonde.
La Lega s’è anche esposta favorevolmente sull’affare EastMed, gasdotto che porta il nome di un quadrante geopolitico vivace che sta diventando il fulcro delle dinamiche sul Mediterraneo, elemento di fondo dietro alla visita greca di Pompeo – con Atene che, contrariamente da Roma, ha dato segnali evidenti sulla scelta americana: sebbene sia già super-esposta al peso cinese da diverso tempo prima dell’Italia, il nuovo governo Mitsotakis si sta dimostrando interessatissimo ad approfondire i rapporti con Washington.
Negli ambienti diplomatici si parla della capacità del prossimo esecutivo italiano di cogliere segnali evidenti come l’inserimento di Huawei Italia in una blacklist del dipartimento del Commercio. Un messaggio diretto, forte che chiede a Roma di cambiare traiettoria perché la pazienza americana potrebbe esaurirsi. Qualcosa di simile alle stilettate lanciate da Trump a Berlino nell’ambito difesa (accusa ai tedeschi: siete la prima economia europea, ma investite troppo poco nel settore perché pensate che gli Usa possano coprire per sempre i vostri impegni; aggiunta: a Washington non piace l’attivismo nazionale tedesco sull’industria della difesa, giocato di sponda con la Francia e pensato in autonomia rispetto agli Usa).
Critiche non casualmente abbinate ad attestazioni di stima e lodi a Varsavia. Il presidente polacco, Andrzej Duda, è rientrato da una visita a Washington con un affare concluso piuttosto importante non tanto in termini economici quanto in quelli politici: la Polonia ha richiesto 32 F-35, che, come detto, sono considerati il vettore della diplomazia politica con cui gli americani intendono costruire il network delle nuove alleanze. Messaggi da cogliere di nuovo, parzialmente compresi dal premier Giuseppe Conte in realtà e come detto da Salvini e da diversi esponenti del Partito Democratico (per esempio, su queste colonne ne aveva parlato Nicola Latorre). In palio – con la Brexit – c’è la possibilità di diventare i partner preferenziali degli Usa in Europa. Un’occasione che l’Italia dovrebbe non farsi sfuggire.