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Non solo Mosca. Perché Pechino ha messo gli occhi sulla Libia

Durante un prolisso e fuori dal comune discorso al Consiglio di Sicurezza Onu, il vice-ambasciatore cinese alle Nazioni Unite, Wu Haitao, ha parlato di Libia. Non è chiaro se la ragione sia piazzare il suo Paese in allineamento con un rinnovato sforzo della Russia per marcare la propria presenza sul dossier, oppure un tentativo per inserirsi in un altro tema di carattere internazionale in cui giocare un ruolo da potenza, o ancora questioni di interessi legati al mondo della ricostruzione (fase che vede alta competizione e grosse potenzialità, secondo Confindustria anche o soprattutto per l’Italia). Fatto sta che un cinese che parla di Libia in un contesto pubblico, esplicito e multilaterale, è tutt’altro che consueto.

I tre elementi di appena sopra possono essere integrabili: la Cina e la Russia stanno vivendo una sorta di bromance politica, giocata piuttosto in contrasto con l’Occidente; questo allineamento permette a Pechino di aumentare la dimensione della propria proiezione internazionale; e contemporaneamente i cinesi lo usano per seguire interessi sia di carattere commerciale che geopolitico.

La Libia è un buon terreno di confronto: Mosca e Pechino sono parte permanente del CdS Onu, l’entità che è dietro al tentativo di governo di rappacificazione nazionale piazzato a Tripoli, ma contemporaneamente hanno posizioni critiche con la linea appoggiata da Usa e Europa fin dall’intervento contro Gheddafi del 2011; ci sono spazi, visto il sostanziale stallo con cui procede processo di pace, e questi permettono alla Cina di inserirsi nei tavoli politici. E allo stesso ci sono interessi economici in ballo.

I cinesi sono già in Libia con un progetto da oltre 4 miliardi di dollari per costruire nuove ferrovie: è guidato dalla China Railway Group, il gigante statale del settore, però è stato bloccato con la rivoluzione del 2011. Un piano infrastrutturale importante pronto a essere riattivato, che tra l’altro lo scorso anno ha ricevuto una spinta di carattere politico con il memorandum d’intesa libico sulla Via della Seta cinese firmato dal governo onusiano di Tripoli, durante una visita a Pechino. Questo significa che quelle linee ferroviarie potrebbero a questo punto essere integrate all’interno del sistema geopolitico con cui la Cina si sta espandendo verso occidente, e che vede nel Mediterraneo uno dei centri di forte interesse.

“La situazione in Libia è in tumulto da otto anni, periodo durante il quale il popolo libico ha patito grandi sofferenze e la situazione umanitaria e di sicurezza nelle regioni circostanti si è deteriorata”: quello del rappresentate all’Onu – ampiamente ripreso dalla Xinhua – è stato il primo intervento cinese sulla crisi aperta il 4 aprile dal signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar, che ha cercato di conquistare Tripoli e rovesciare il governo onusiano.

Wu dice apertamente, come fatto pochi giorni fa dalla Russia, che non c’è soluzione militare e occorre ripristinare i tavoli politici, su cui annuncia maggiore assertività: “Il governo di Pechino si unirà alla Comunità internazionale e contribuirà attivamente al ripristino della pace e della stabilità in territorio libico”. Gli interessi cinesi in Libia sono da inquadrarsi anche nel più ampio contesto regionale e continentale. L’Africa è un terreno di conquista per Pechino e la parte settentrionale diventa ancora più attraente se si considera che affaccia sul Mediterraneo e permette lo scalo di merci dirette in Europa, con relativi collegamenti. C’è il business, c’è lo sfruttamento territoriale, ma c’è anche la possibilità di muovere pedine dal valore politico e geopolitico.

I Paesi africani maggiormente collegati alla Cina, così come quelli in altri quadranti, sono abitualmente le nazioni i cui rappresentanti prendono posizioni pro-Pechino nei consessi multilaterali. Luoghi in cui si parla spesso dell’incoerenza tra rincorsa economica e assenza dei diritti nel sistema paese cinese. Argomenti su cui il Partito comunista di governo non gradisce critiche e disallineamenti e dove certe volte servono voti istituzionali per sostenere la posizione cinese.

 

 

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