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Iva e investimenti pubblici. Istruzioni per l’uso al nuovo governo. Dal prof. Fortis

Acqua fresca? Molto fumo e niente arrosto? Oppure buone intenzioni cui dare seguito? Il programma in 26 punti (qui il testo) alla base di un futuro governo giallorosso ha già riscosso i primi commenti, più o meno lodevoli. Per qualcuno è tutto molto, troppo, vago. Per altri ci sono delle idee da non buttare a mare. Di sicuro, sulla parte economica, gli spunti di riflessione non mancano. Per un Paese come l’Italia che del Pil a doppia cifra ha solo un lontano ricordo (qui l’ultima analisi di Confindustria, pubblicata ieri) un programma politico che metta l’economia reale al centro è qualcosa di obbligatorio. Formiche.net ha chiesto un parere  a Marco Fortis, economista, saggista, oggi responsabile della Direzione Studi Economici di Edison.

Fortis, che ne pensa di questo programma grillino-democratico?

La parte economica mi sembra essenzialmente concentrata su tre aspetti e cioè la sterilizzazione dell’Iva, l’abbassamento del cuneo fiscale e poi sul salario minimo, che mi pare un po’ buttato lì. Bisognerà capire come per esempio lo si potrà attuare, parlo del salario minimo, alla luce delle riserve che le imprese, ma non solo loro, hanno espresso negli ultimi tempi.

Però sterilizzare l’Iva è cosa buona e giusta, sbaglio?

Sì, lo è. Stiamo entrando in un terzo trimestre che si annuncia piatto come i precedenti e poi non si è ancora materializzato l’effetto Germania, che è finita con il sedere per terra a quanto pare. Fino ad ora l’economia italiana ha patito il crollo degli investimenti ma soprattutto la caduta dei consumi e per questo un aumento dell’Iva sarebbe un errore madornale. Dobbiamo ricordarci sempre di una cosa. Per fare andare avanti questa economia servono consumatori: in quattro anni sono venuti meno 400 mila consumatori in Italia, per giunta al lordo dei migranti. E stiamo parlando della parte più forte della domanda italiana. Evitare l’aumento dell’Iva vuol dire evitare una catastrofe, questa è la verità.

E come la mettiamo coi 23 miliardi che servono a evitarne un aumento?

Questo è il problema, anche se va fatta una considerazione. Sembra che tutti si stiano preoccupando di rispettare le regole Ue in materia di bilancio. Ma c’è una Germania che per anni ha praticato il rigore a oltranza, che sta andando in crisi. E allora la stessa Unione europea, che assiste alla fine del mito del rigore con ogni probabilità concederà maggiore flessibilità ai Paesi membri, compresa l’Italia. Non ha senso in questo momento pretendere una rigidità fiscale con lo spettro della recessione.

Insomma, un po’ di flessibilità…

Esatto. Non sarà quella concessa ai precedenti governi, quando era ministro dell’Economia Piercarlo Padoan, ma ne avremo un po’ e il prossimo governo ne potrà beneficiare.

Fortis, torniamo al programma. Non c’è traccia, come prevedibile, della flat tax. Addio rivoluzione fiscale?

La flat tax non mi ha mai convinto, per anni mi sono studiato le statistiche su Pil, consumi e altro e so benissimo quando le tasse sono aumentate e al contrario sono scese. Il vero problema è che qui parlano tutti di misure, presenti e future ma in pochi hanno la percezione di che cosa serva realmente. Questo Paese ha un Pil che è spaccato in due: i consumi e gli investimenti. Sui primi negli anni passati, misure come il bonus da 80 euro hanno creato nuove fasce di consumatori.

Dunque?

Se oggi qualcuno vuole rimettere in moto l’economia, deve agire soprattutto sui consumi e dunque evitare a tutti i costi l’aumento dell’Iva. Questo eviterebbe di deprimerli ancora, mantenendoli tutto sommato stazionari. Questo deve essere l’obiettivo primario. Anche gli investimenti possono dare una spinta, soprattutto quelli pubblici. E qui può essere letto il vero valore aggiunto di questo governo.

Quale sarebbe?

Il fatto che questo governo non è più anti-Ue come quello di prima. E dunque si può dire a Bruxelles che gli investimento pubblici vanno scorporati dal calcolo del debito, magari iscriverli al bilancio europeo. I tedeschi hanno sempre odiato la parola euro-bond e allora chiamiamoli investment bond. Magari farli in avanzo primario, perché no. Ma scorporare gli investimenti pubblici dal bilancio statale è un’operazione da fare. O finiremo come la Germania.

 

 

 

 

 

 

 

 

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