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Così la guerra all’Isis in Afghanistan si fa sempre più cyber

A diciotto anni dall’11 settembre del 2001, la guerra al terrore degli Stati Uniti non si è ancora conclusa, ma è entrata in una fase pienamente tecnologica. Uno dei fronti di questo ‘shift’ ancora in corso è oggi l’Afghanistan, un teatro operativo dal quale il presidente Donald Trump vorrebbe ritirare i soldati americani anche grazie a un accordo di pace con i talebani, ora messo in stand-by dopo attentati a Kabul, e dove sta acquistando sempre maggiore importanza il lavoro condotto dalla Joint Task Force Ares, un gruppo incaricato di condurre operazioni cyber contro lo Stato Islamico.

IL LAVORO DELLA JTF-ARES

Il gruppo di esperti informatici guidato dal Cyber Command (al quale l’amministrazione Trump ha concesso maggiore autonomia offensiva) ha come obiettivo quello di condurre operazioni congiunte e con gli alleati per fermare sistemi e reti impedendone un uso malevolo, ma anche per introdurvisi e scoprire di più sulla rete jihadista, su come opera e sui suoi flussi di denaro.
E, negli ultimi mesi, gran parte di queste attività viene svolta proprio in relazione all’Afghanistan, dove lo Stato Islamico è attivo col braccio di Isis-Khorasan (o Isis-K), sebbene sconfitta sul terreno del suo sedicente ‘califfato’ in Iraq e Siria.

L’OPERAZIONE GLOWING SYMPHONY

Della task force si era parlato nel 2017, quando era balzata alle cronache l’operazione segreta – denominata Glowing Symphony – condotta nel 2016 su scala globale dal Pentagono per sabotare la diffusione della propaganda online dello Stato Islamico, e mirata a ottenere le credenziali di accesso dell’account di amministratore dei servizi di hosting, per cancellare file, video, cambiare password e fermare così, almeno temporaneamente, la diffusione di determinati contenuti che si trovavano fisicamente in 35 Paesi, molti dei quali alleati Usa.
Una strategia, questa, recentemente approfondita da testate e think tank americani attraverso l’analisi di documenti ottenuti con il Freedom of Information Act (il Foia).

LA STRATEGIA AMERICANA

Ora che l’Isis è stata ridimensionata (e in molti casi annullata) dal punto di vista territoriale, il focus delle attività di contrasto al gruppo jihadista è dunque nel campo digitale. E non è detto che sia questo l’approccio che la Casa Bianca intenderà potenziare per raggiungere i suoi obiettivi – criticati da molti esperti di sicurezza e considerati prematuri dall’intelligence – di lasciare l’Afghanistan, dove, dopo 18 anni, ci sono ancora 14mila soldati americani. La gestione del dossier afghano era uno dei tanti temi sui quali si registravano divergenze di opinioni tra il presidente Trump e dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton, recentemente defenestrato.

IL CAMBIAMENTO POSSIBILE

Ora che questo ruolo sarà assunto da Robert O’Brien, un alto funzionario del Dipartimento di Stato caratterizzato probabilmente da una strategia meno aggressiva in linea con la visione del tycoon, questo processo di spostamento del confitto nel dominio cyber potrebbe essere più semplice. Ma, complice il prosieguo degli attacchi di Isis-K (il cui primo attentato di cui si ha notizia risale al 2015), che proprio il mese scorso ha rivendicato l’esplosione di una bomba a un matrimonio in Afghanistan, la sua fattibilità è, secondo gli strateghi americani, tutta da verificare.

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