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Vi spiego il vero ruolo del (benvenuto) ministero dell’Innovazione. Parla Barbanti

Con un ministero dell’Innovazione tecnologica e della Digitalizzazione guidato da Paola Pisano “l’Italia si dota di una figura necessaria”, che dovrà innanzitutto “razionalizzare e far dialogare la costellazione di realtà che si occupano di innovazione nel Paese”.

A crederlo è Sebastiano Barbanti, già deputato del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico, esperto di fintech e membro del consiglio direttivo dell’associazione Copernicani, che in una conversazione con Formiche.net analizza le principali sfide del nuovo dicastero, tra le quali indica “identificare dei campi sui quali puntare per il futuro in base alle nostre caratteristiche, impostare una politica formativa in grado di sostenere il cambiamento e, poi, una politica industriale capace di rendere competitiva la nazione nell’era digitale”.

Con il governo Conte 2 è arrivato un ministero dell’Innovazione tecnologica e della Digitalizzazione. Come valuta questa scelta?

Si tratta di una mossa positiva sia per la decisione in sé, sia per la scelta della persona, Paola Pisano (nella foto), una professionista competente. E aggiungo: meglio tardi che mai. È da tempo che lo chiediamo. Se lo Stato vuole mantenere e accrescere il benessere della comunità deve governare il cambiamento in atto e ripensare il nostro modello di sviluppo a fronte di nuovi lavori e nuovi modi di vivere.

Questo ufficio rischia di sovrapporsi a quelli di altre strutture già esistenti dedicate all’innovazione e al digitale? Pensiamo all’Agid o al neonato Dipartimento per la Trasformazione Digitale creato a Palazzo Chigi per citarne alcune.

Delle sovrapposizioni ci sono, ma io le ritengo utili, perché innovazione e digitale sono settori trasversali, che necessitano di una strategia che coinvolga diversi attori. L’importante è che il ministero in questione riesca a trovare, avvalendosi di persone all’altezza, il modo di far dialogare e marciare nella stessa direzione tutte queste realtà. Il suo dovrà essere un ruolo di indirizzo politico e di coordinamento. Un posto dove si costruisce una visione per il Paese.

Che cosa dovrà coordinare il nuovo dicastero?

Negli ultimi anni abbiamo recuperato un po’ di tempo perso su questi temi, ma moltissimo resta da fare. Quel che manca è mettere a sistema tutte le articolazioni che già abbiamo. Abbiamo in primo luogo bisogno di progetti verticali su tanti ambiti specifici: agrifoodtech per l’Agricoltura, Impresa 4.0 per il Mise, fintech per l’Economia, cyber security per la Difesa e non solo, biotech e digital health per la Sanità. Ma anche di nuove norme. E l’elenco potrebbe continuare con blockchain e intelligenza artificiale. Ma tutto deve essere, appunto, coordinato, perché diventi parte di un disegno più ampio mirato a uno spirito innovativo che parta sin dalla scuola.

Che ruolo avrà la scuola nel compiere la trasformazione digitale del Paese?

Enorme, direi quasi cruciale. Parlando con alcuni colleghi notavamo che ai nostri tempi, a scuola, ci si preoccupava moltissimo della grafia. Oggi i ragazzi scrivono molto meno di quanto non digitino. E forse mia figlia non digiterà nemmeno, ma parlerà direttamente con le macchine. Bisogna essere preparati a tutto questo, anche in relazione alle figure professionali da formare per realizzare il cambiamento.

Ogni progetto necessita di risorse adeguate. Ritiene che quelle investite oggi siano sufficienti?

Il Fondo Nazionale Innovazione parte con una dotazione importante, 1 miliardo di euro, che però non basta. Queste risorse vanno coadiuvate con quelle esterne. E quanto avvenuto in altri Paesi ci dimostra che nel momento in cui una nazione ha un piano ben preciso su dove vuole andare e che cosa vuole fare, gli investitori esteri arrivano.

C’è una best practice che l’Italia dovrebbe imitare?

Non esiste un modello interamente replicabile, perché ogni Paese ha delle peculiarità. Stati Uniti, Israele, Regno Unito sono nazioni dove l’economia digitale è importantissima. Ma anche a Hong Kong e a Dubai si stanno realizzando cose fantastiche per quel che riguarda rispettivamente l’attrazione di talenti e l’innovazione nel settore fintech. Quel che dobbiamo fare è razionalizzare e far dialogare la costellazione di realtà che si occupano di innovazione, identificare dei campi sui quali puntare per il futuro in base alle nostre caratteristiche, impostare una politica formativa in grado di sostenere il cambiamento e, poi, una politica industriale capace di rendere competitiva la nazione nell’era digitale. E, in questo senso, la presenza di un ministero per l’Innovazione può essere decisiva, perché solo una leadership forte dello Stato può guidare tutte queste iniziative nella giusta direzione.


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