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Vi racconto il caldo autunno libanese. Diapositive da Beirut

Il vento dell’autunno caldo libanese soffia ormai da cinque giorni. E non accenna a placarsi. Domenica sera il presidente del Consiglio Saad Hariri ha parlato alla nazione promettendo che non ci saranno nuove tasse per un Paese tra i più indebitati al mondo e che lo stipendio dei politici sarà dimezzato. Misure demagogiche già viste altrove, arrivate troppo tardi per soddisfare le folle che, da Algeri a Baghdad, hanno dimostrato di saper rivendicare tenacemente e pacificamente i propri diritti di cittadino.

5-In piazza dei Martiri, membri del “Circolo laico” dell’Università americana di Beirut brandiscono un cartello con tre parole chiave della rivendicazione: secolarismo, democrazia, giustizia sociale

Cittadinanza è una parola di estrema pregnanza in Libano, dove l’appartenenza religiosa è l’elemento che – volenti o nolenti – determina l’identità e alimenta le divisioni. Le proteste di questi giorni vedono nella ventilata proposta governativa di una tassa sull’utilizzo di WhatsApp solamente la scintilla che ha appiccato il fuoco dello scontento. Nella serata di giovedì scorso, blocchi stradali e cassonetti in fiamme hanno iniziato a punteggiare la capitale Beirut e le maggiori città libanesi.

Libano Balduzzi

E riesce difficile biasimare i giovani che dalle periferie povere hanno raggiunto il centro in sella ai motorini e visto nelle immondizie brucianti il simbolo di una ribellione a lungo covata. A una prima fase di vandalismo e violenza, tuttavia, è presto subentrata la manifestazione pacifica e festosa. Una mobilitazione che si è rivelata capace di spezzare le catene del confessionalismo coinvolgendo cristiani e musulmani, centro e periferie, Nord e Sud del Paese in un fremito d’indignazione avulso da tinte politiche. Intorno alla bandiera libanese si stringono soprattutto i giovani, brandendo i motti già scritti e urlati nelle piazze delle primavere arabe la cui onda lunga si rinnova a Beirut, a Tripoli, a Tiro.

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I ragazzi derubati del futuro in un presente di disoccupazione e incertezza che vede i più fortunati andare all’estero a nutrire la corposa diaspora libanese, lasciandosi alle spalle da una parte i meno abbienti condannati all’inedia e alla povertà e dall’altra i benestanti non di rado collusi con una classe politica ben pasciuta da corruzione e clientelismo.

In piazza dei Martiri, un ragazzo mi chiede da dove vengo. Mi aspetto il copione già sentito più volte: quando dici di essere europeo, la reazione tra il serio e il faceto è la richiesta di un visto per mollare gli ormeggi. Questa volta, invece, mi attende una piacevole sorpresa. Il ragazzo che mi trovo davanti replica che l’Italia è bella, ma lui ama il Libano. Al di là di retoriche melense, questo rinnovato amor patrio è indice di una generazione risvegliatasi dal torpore, stanca di radicati privilegi e ataviche fratture. “Secolarismo” è una parola ricorrente sui cartelli dei manifestanti e l’assenza di vessilli di partito – e in Libano la fede autentica o presunta trova espressione ineludibile nella cabina elettorale – testimonia della voglia di tabula rasa.

Libano Balduzzi

Sono molte, tuttavia, le ipoteche sulla riuscita di questa voglia di rinnovamento. La partenza in blocco della classe politica auspicata dai manifestanti è ostaggio dell’incognita del dopo (si veda l’infelice stallo algerino). Chi, se non le solite famiglie, esprimeranno la nuova, vecchia classe dirigente? E come garantire la laicità dello Stato quando la ripartizione delle cariche pubbliche a seconda dell’appartenenza religiosa è imposta dalla Costituzione e una commissione per il superamento del confessionalismo prevista dagli accordi che posero fine alla guerra civile non ha mai visto la luce? Infine, scendendo dalle alte sfere alle piccole, ineludibili meschinità umane, quanto sarà disposto il giovane borghese del quartiere bene di Achrafieh a cedere parte dei propri privilegi e tollerare in giro per il centro i reietti dei sobborghi beirutini?

In attesa di conoscerne gli sviluppi, non si può che augurare il meglio a questa protesta che tenta di rifondare la cittadinanza a suon di canti, balli e narghilé.



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