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Stato d’assedio a Santiago del Cile. L’ombra dei militari si allunga sul Paese

L’ombra dei militari si allunga sul Cile. Ritornano antiche paure. La popolazione è comprensibilmente sconvolta. Il potere politico sembra annichilito di fronte alle manifestazioni di piazza. Il governo comanda la repressione, ma non lo ammette. Non può ammetterlo. Le ferite dell’era di Pinochet sono ancora aperte. Comunque qualcuno gli ordini di sedare con le armi la rivolta divampata in tutto il Paese deve averli dati. E tre persone, finora, hanno perso la vita in un incendio scoppiato in un supermercato nella cittadina di San Bernardo.

Quasi ovunque si registrano disordini, saccheggi e devastazioni. I negozi vengono presi di mira uno dopo l’altro. Il clima di caos che si respirava da giorni è esploso fragorosamente a causa dell’aumento dei prezzi dei trasporti pubblici. Una economia immiserita da una gestione dissennata da parte del governo del presidente Sebastian Pinera,  imprenditore prestato alla politica, funzionale alla tutela delle classi più abbienti, ha progressivamente depauperato il Paese fino a creare sacche di vero e proprio disagio sociale. La misura estrema per tentare di bloccare i disordini è stata la proclamazione del coprifuoco.

L’uomo forte che in queste ore emerge a Santiago è il generale Javier Iturriaga del campo, incaricato dalle autorità politiche di garantire la sicurezza e di ristabilire l’ordine. Non sarà facile. La gente è esasperata. Nella capitale la situazione, da quel che si apprende, è ai limiti della guerra civile. Centinaia di soldati presidiano le strade di Santiago per la prima volta dalla fine del potere di Pinochet nel 1990.

La notte scorsa, sotto la pressione dell’opinione pubblica, Pinera ha annunciato la sospensione dell’aumento del prezzo dei biglietti della metropolitana, ultimo di una serie di rincari che aveva fatto esplodere il malcontento popolare. “Ho ascoltato con umiltà la voce della gente – ha detto Pinera – e non avrò paura di continuare a farlo, perché così si costruiscono le democrazie. Ho deciso di sospendere l’aumento del metro, ciò che richiederà la rapida approvazione di una legge, finché concorderemo un sistema per proteggere meglio i nostri compatrioti”.

Pinera ha pronunciato il suo discorso con le proteste in atto mentre i carri armati intasavano le strade di Santiago, come hanno riferito i corrispondenti dei giornali e delle televisioni sorpresi da tanta improvvisa violenza. Il presidente ha pure aggiunto:  “Tutti hanno diritto di manifestare pacificamente e solidarizzo con le ragioni che hanno per farlo. Ma nessuno può minacciare la sicurezza di nessun compatriota. Solo uniti potremo salvare e conservare la nostra democrazia”. Inizialmente pacifiche, le proteste negli ultimi giorni hanno assunto connotazioni violente corredate da vandalismi dai quali si evince la rabbia della popolazione per l’insopportabile carovita che sta mettendo in ginocchio le famiglie cilene.

Non c’è – al momento – un moto rivoluzionario organizzato che mette in pericolo la stabilità del Paese e gli assetti di potere. Ma tutto potrebbe precipitare.

Da tempo l’ex presidente della Repubblica Michelle Bachelet, fa pesare al governo conservatore di Pinera la mancata crescita economica, come se il presidente non l’avesse ereditata dai suoi anni vissuti all’insegna della propaganda e della demagogia, illudendo i cileni più di quanto il senso di responsabilità avrebbe dovuto consigliarle. Ora i mercati stanno presentando il conto. E la delusione diventa contagiosa.

Da almeno un anno  l’altalena del rame, autentico termometro dell’economia cilena, fa tremare le borse; il Peso cileno si è deprezzato; la disoccupazione  non accenna a diminuire, e veleggia verso l’8%. L’opposizione, in particolare quella capeggiata dalla Bachelet, fa il suo “mestiere” soffiando sul fuoco. E giorno dopo giorno il disagio cresce. Fino a quando i militari non sono arrivati. E in Sud America arrivano sempre, prima o poi, al momento opportuno.

È bastato un banale , ma non indolore, aumento dei biglietti dei mezzi pubblici per spingere il Cile sul ciglio di un abisso. A Concepción, Rancagua, Punta Arenas, Valparaíso, Iquique, Antofagasta, Quillota e Talca, secondo i giornali locali, la situazione è gravissima. Al momento nessuno riesca a raccontarla. Ma la sensazione che si ricava dalle frammentarie notizie è di vera e propria disperazione.

Le manifestazioni sono incominciate all’inizio della settimana: l’hanno innescata gli studenti delle scuole superiori che hanno saltato i tornelli della metropolitana per protestare contro il secondo aumento tariffario in meno di un anno. Sembrava un episodio irrilevante.  Quasi subito, tuttavia, agli studenti si sono uniti i cittadini che si sentono vessati da sovrattasse e stipendi al minimo.

La povertà dilaga, il Cile meno abbiente ha fame, il governo protegge i ricchi, il suo blocco sociale di riferimento, e non attua le riforme promesse. I recenti aumenti, per di più, non hanno favorito il consolidamento della già precaria popolarità di Pinera, presentatosi come il “risanatore” dopo il ciclone Bachelet. Venerdì scorso, mentre le agitazioni tenevano già in apprensione il Paese, lui festeggiava il compleanno di un suo familiare in un elegante ristorante del centro di Santiago. L’ombra dei militari ancora non si vedeva per le strade della capitale.


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