Skip to main content

Italia e interferenze russe. Il salvagente a Putin lanciato dalla Lega di Salvini e…

Mentre negli Stati Uniti è ancora viva la memoria delle interferenze attribuite a Mosca durante Usa 2016, la Camera accende i riflettori sulle fake news. Dovrebbe essere calendarizzata, già la prossima settimana, la discussione di una proposta di legge – primo firmatario il dem Emanuele Fiano – per l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla diffusione intenzionale e massiva di informazioni false attraverso internet e sul diritto all’informazione e alla libera formazione dell’opinione pubblica (mentre Fratelli d’Italia, con il deputato Federico Mollicone, presenterà un suo testo in cui chiedere che la commissione d’inchiesta si impegni a redigere un regolamento per vincolare le piattaforme social e le loro policy di moderazione interne ai dettami costituzionali sulla libertà d’espressione, di stampa e d’opinione).

NOTIZIE E SOCIAL MEDIA

Del tema, infatti, si è parlato anche nella Penisola e in più occasioni (dalle campagne anti-immigrazione sui social raccontate da Alto Data Analytics, al caso dei troll anti Mattarella, passando per l’analisi di reti di bot condotte da think tank come l’Atlantic Council e il suo Digital Forensic Lab).
“Alcuni osservatori”, sostiene la proposta, “hanno sollevato dubbi sulla reale efficacia di queste campagne di disinformazione e, almeno per ora, non disponiamo di prove certe che le fake news siano state in grado di determinare decisioni elettorali o fatti politici rilevanti nelle democrazie occidentali. Sicuramente, però”, si sottolinea, “esse riescono ad avere un impatto significativo sull’informazione on line che sta rapidamente spodestando quella dei media tradizionali”.
Perché gli italiani, si legge nel testo che cita a riguardo il Rapporto sul consumo di informazione dell’Agcom di febbraio 2018, “accedono all’informazione on line prevalentemente attraverso fonti cosiddette ‘algoritmiche’, in particolare social network e motori di ricerca (blog, Google, Facebook, Twitter, Instagram eccetera), consultate dal 54,5% della popolazione”.
Le notizie false, le cosiddette ‘bufale’, si evidenzia, “non sono certamente una novità nel mondo dell’informazione tradizionale: la novità è rappresentata dalla rete internet e dalle sue caratteristiche proprie. Ne vengono elencate sei: un sistema di informazione radicalmente decentralizzato, senza le tradizionali barriere all’ingresso che caratterizzavano l’industria dell’informazione tradizionale, con assenza dei meccanismi di controllo e di responsabilità che sono legalmente previsti per gli editori; la dinamica dei social network che accentua la possibilità che esse, una volta create siano disseminate e si propaghino rapidamente, grazie agli share, ai like, e in genere alla spinta alla condivisione; un sistema in cui esistono pochi ‘gatekeeper’ dell’informazione, se una menzogna, per la logica dell’algoritmo con cui essi operano, viene rilanciata e posta in evidenza sullo schermo può raggiungere milioni di persone e apparire come fatto non controverso; il fenomeno dell’echo chamber in cui vive il singolo utente lo porta ad accogliere senza spirito critico e a credere per vere le notizie che sono coerenti con i suoi pregiudizi; la perdita di fiducia nei media tradizionali e l’abbandono di essi come fonti di informazione da quote crescenti delle società occidentali; infine, la polarizzazione e la frammentazione crescente del pubblico.

CHE COSA ACCADE IN UE

Proprio ieri, il Parlamento Europeo in sessione plenaria, ha adottato con 469 voti favorevoli, 143 contrari e 47 astensioni, una risoluzione non legislativa nella quale i deputati hanno sottolineato come i tentativi di influenzare i processi decisionali negli Stati membri mettano a rischio le società democratiche europee. L’Europarlamento europeo ha evidenziato che “l’interferenza di Paesi stranieri nelle elezioni nazionali ed europee è ormai sistematica e può assumere forme diverse: campagne di disinformazione sui social media, attacchi hacker contro infrastrutture elettorali critiche o sostegno finanziario diretto e indiretto ad attori politici. Nella maggior parte dei casi, queste ingerenze favoriscono candidati anti-Ue, estremisti e populisti”. E si evidenzia come nonostante la maggioranza dei Paesi Ue abbia vietato, in tutto o in parte, le donazioni estere ai partiti politici e ai candidati, alcuni attori stranieri riescano “a eludere le leggi e a offrire sostegno ai propri alleati”.
Bocciata, invece, scrive La Stampa, l’inchiesta dell’Ue sulle interferenze russe, grazie a “un patto Cinque Stelle-Lega”, smentito poi dai pentastellati (a favore dell’indagine, invece il Partito Democratico). Nel testo, rileva il quotidiano diretto da Maurizio Molinari, c’era un riferimento anche al Carroccio di Matteo Salvini.

IL REPORT DI OXFORD

A dare la dimensione del fenomeno è un report intitolato “The Global Disinformation Order: 2019 Global Inventory of Organized Social Media Manipulation”. In poco più di 20 pagine, lo studio realizzato da due ricercatori dell’Università di Oxford descrive in che modo governi, partiti politici e organizzazioni utilizzano la tecnologia per diffondere disinformazione. Sarebbero circa 70 (anche 45 democrazie) i Paesi – che hanno sperimentato nel 2019 campagne organizzate di fake news e propaganda (tra i quali l’Italia). Si tratta di un +150% negli ultimi due anni: le nazioni oggetto di queste problematiche erano 28 nel 2017 e 48 nel 2018. Facebook è stato il social network più utilizzato per tali scopi; subito dopo Twitter, ma cresce Instagram (recenti anche i casi che hanno riguardato app di messaggistica come WhatsApp, ad esempio in Brasile). Diversi gli obiettivi, evidenzia il documento: dal raccogliere il sostegno degli elettori all’alterazione o alla soppressione dell’opinione pubblica, e in alcuni casi all’incitamento alla violenza.

TECNOLOGIA E DISINFORMAZIONE

A preoccupare sono tuttavia soprattutto le possibilità offerte dalle tecnologie emergenti. Il report spiega come algoritmi e big data, tra gli altri strumenti, sarebbero stati utilizzati per diffondere falsità, che hanno avuto poi ampio seguito con un impatto reale. Una minaccia ancora poco diffusa, ma data in crescita è quella dei cosiddetti deep fake, video o immagini non veri, realizzati con l’ausilio di intelligenza artificiale, realizzate in modo così accurato da rendere complessa la loro manipolazione.
Negli Usa se ne discute da tempo, tanto che il governatore della California ha firmato due leggi sull’argomento, una che criminalizza chi pubblica video o immagini manipolate dei politici con l’intento di screditarli nei 60 giorni prima di un appuntamento elettorale che li vede coinvolti, l’altra che consente a chi è vittima di un video hard che in verità non ha mai filmato, di rivalersi contro il responsabile. In Italia è invece recente il provocatorio (e chiaramente falso) filmato che vedeva protagonista Matteo Renzi, mandato in onda da Striscia la Notizia.

IL RUOLO DI CINA E RUSSIA

Gran parte dell’attività può essere collegata a Russia e Cina, con quest’ultima che emerge, secondo gli studiosi, come uno dei principali attori nell’ordine globale della disinformazione, ad esempio in relazione alla recente rivolta di Hong Kong. Mosca, invece, patria della “disinformazia”, è considerata sistematicamente impegnata in queste operazioni (si dibatte ancora delle interferenze a Usa 2016 attribuite al Cremlino e al suo ‘braccio’ Internet Research Agency, la cosiddetta fabbrica dei troll di San Pietroburgo.
La Russia, invece, ha spiegato Alina Polyakova, già all’Atlantic Council e oggi fellow di Brooking Institutions, starebbe conducendo una vera e propria guerra asimmetrica di alto impatto e a basso costo per correggere lo squilibrio tra Mosca e Occidente nel dominio convenzionale. Ed è qui che entrano in gioco nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale.
L’IA, ha rilevato la docente e ricercatrice esperta di Eurasia, “ha il potenziale per iper-potenziare l’uso della disinformazione” da parte della Russia. Il potenziale di queste applicazioni resta tutto da scoprire (e verificare). Tuttavia la Polyakova evidenzia come strumenti non convenzionali – cyber attacchi, fake news e altro – siano diventati un elemento centrale della strategia russa verso l’Occidente, nonché il terreno sul quale, tradizionalmente ma anche in tempi recenti, Mosca ha colto i suoi risultati migliori (le elezioni americane del 2016, ma non solo, lo dimostrerebbero).
A questo andrebbe aggiunto che a differenza dello spazio militare convenzionale, gli Stati Uniti e l’Europa sarebbero secondo la studiosa mal equipaggiati per rispondere alla guerra asimmetrica “spinta” dall’IA (in gergo si utilizza l’acronimo ADAW, ovvero AI-driven asymmetric warfare) nello spazio informativo.
Alla base di questa scelta di Mosca, ha rimarcato Polyakova, c’è una doppia consapevolezza: riconoscere che strumenti commerciali già pronti e piattaforme digitali possono essere facilmente armati; e che la guerra dell’informazione digitale è economicamente efficace e di grande impatto. Potenziare queste armi attraverso l’IA è un passaggio successivo e quasi “naturale”, ma potrebbe offrire alla Russia un ulteriore vantaggio comparativo.


×

Iscriviti alla newsletter