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Facebook, Instagram e la tormentata vita del “like”

Di Andrea Barchiesi

Genera dipendenza, è diventato il simbolo di un’epoca, quella dei social network, che mai come in questi anni sono stati in grado di incidere sulle nostre vite. Se è vero che è lì che si generano consensi e si vincono elezioni e referendum, ed è lì dove si è spostata l’attenzione del marketing e degli investimenti pubblicitari, non è così sbagliato parlare, appunto, di “era social”.

Il like di Facebook, assieme alla sua variante a cuore di Instagram, ne è presto diventata l’immagine più vivida. Quel pollice all’insù rappresenta l’essenza stessa delle connessioni e relazioni tra gli utenti, con quello scambio di apprezzamenti virtuali al cui accumulo ormai tutti guardano come parametro di eccellenza e alta reputazione, e come indice di maggior rilievo con cui verificare la capacità di attrarre utenti: maggiore il numero di like raccolti, più alta e stimata la presenza sulla piattaforma.

Ma qualcosa in questi ultimi tempi è cambiato. La corsa ai like stava diventando stressante per molti utenti e drogata da bot o dall’acquisto di pacchetti da 5-10-15 mila apprezzamenti fake. La comunità virtuale dei social stava perdendo i suoi principi di naturalezza anche nel suo gesto più semplice e rappresentativo. Durante l’ultimo F8, la conferenza annuale degli sviluppatori di Facebook, nell’aprile scorso, il responsabile di Instagram Adam Mosseri ha quindi annunciato novità sul social delle foto in grado di renderne l’esperienza “less pressurized”. L’obiettivo era quello di ridurre la dipendenza da like degli utenti, migliorandone il benessere digitale. Dopo i test effettuati a maggio in Canada, Instagram ha deciso di eliminare il conteggio dei like anche per gli utenti di Irlanda, Italia, Giappone, Brasile, Australia e Nuova Zelanda.

Sarà sempre possibile esprimere apprezzamento per i contenuti postati, ma questi verranno visualizzati solo privatamente dal proprietario dell’account, che sarà l’unico a conoscere il conteggio totale. Si tratta di un test, certo, ma molti già ne chiedono l’estensione alle altre nazioni e invocano un provvedimento identico anche per Facebook.

A ben guardare Instagram ha deciso di seguire il filone delle stories, di cui c’è segretezza pubblica su commenti e numero di visualizzazioni se non per l’admin dell’account che le ha pubblicate. Si tratta comunque di una scelta radicale per il social, che ha deciso di garantire una maggior centralità al contenuto piuttosto che al numero dei like.

Una scelta che da un lato strizza l’occhio all’etica e al benessere degli utenti, nel tentativo di disinnescare la dipendenza da like, soprattutto tra i giovanissimi, che vedevano nella quantificazione della loro popolarità un giudizio di valore sulla loro persona. Dall’altro, quello di Instagram è un tentativo di migliorare la qualità del tempo speso sul social, costringendo a una miglior produzione di contenuti. Questo a tutto vantaggio di influencer con elevate capacità comunicative in grado di coinvolgere gli utenti senza l’utilizzo di bot per gonfiare il conteggio dei like.

Si tratta di una scelta coraggiosa e non ancora definitiva, e che ha già provocato reazioni nel mondo degli influencer, preoccupati di veder ridotta la loro potenza di fuoco fatta di accumulazione di like ben visibili a tutti, esposizione vanesia di sé e della propria reputazione numerica. Ma Instagram ha ragionato pensando anche e soprattutto al miliardo di utenti attivi in tutto il mondo – di cui 19 milioni solo in Italia – ormai un po’ stanchi di quel vessillo dell’era social prima così fieramente sbandierato, ma ora liso e sbiadito.

Nei prossimi mesi l’azienda avrà modo di riflettere e anche di ripensare la propria scelta, ma l’impressione è che un passo decisivo sia stato fatto in direzione di una presenza sui social sempre meno guidata dal valore numerico dei like e più incentrata sulle persone.

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