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Vi racconto la lotta di Giulio Pastore, per la libertà e il buon governo. Firmato Scotti

Cinquanta anni fa, il 14 ottobre 1969, moriva Giulio Pastore, uno dei protagonisti della storia del nostro Paese nel Secondo dopoguerra mondiale. Ancora, fino a oggi, la ricerca storica non ha dedicato a Pastore l’attenzione che il suo ruolo avrebbe richiesto per il segno lasciato dalla sua azione sindacale e politica.  Ci vorrà ancora del tempo e del lavoro di ricerca storiografica rigorosa per scoprire quanto Pastore abbia inciso sulla formazione della moderna società italiana.

Pastore, fin da giovane operaio, entrò nel sindacato cristiano Cil fondato da Achille Grandi, leader del sindacalismo cattolico. Pastore fu parte dei cattolici che mantennero una posizione di intransigenza nella lotta al fascismo e per la libertà. Una intransigenza nella difesa della libertà che lo portò in carcere a Regina Coeli.

Nel 1960, Pastore non accettò nessuna giustificazione o ragione per ritenere accettabili i voti di fiducia del Movimento Sociale al governo Tambroni, di cui era diventato ministro; per questo si dimise. Non si consultò con nessuno motivando il gesto con la  coerenza di una vita in una lettera inviata al presidente del Consiglio e  consegnata al termine della votazione anche al segretario del suo partito, Aldo Moro.

Quando, quella sera, venne a trovarci al lavoro completando la prima  Relazione al Parlamento, in qualità di presidente del Comitato dei ministri per il Mezzogiorno, ci disse  che voleva anche mandare un piccolo e chiaro esempio di comportamento contro ogni trasformismo parlamentare. E poi venne alla questione del riscatto economico e sociale dei  lavoratori dicendoci  che  non ci sarebbe mai stata libertà senza la vera autonomia delle forme associative del sindacato.

La Cisl di Pastore, con lo straordinario apporto di Mario Romani, nasce in discontinuità della tradizione del sindacato rappresentativo della classe. I lavoratori della Cisl si organizzano come libera associazione in una società pluralista: un sindacato che, come ultima istanza, non affida la tutela dei diritti dei propri lavoratori né al partito politico che l’ha generata né alla legge ma alla sua attività negoziale.

Pastore guidò in quegli anni la Cisl con la piena consapevolezza delle difficoltà dell’innovatore che, nella sua azione, ha innanzitutto come nemico chi è fermo in una cultura e in una tradizione rigida, ma anche chi, pur intravedendo il dato positivo del cambiamento, teme che non sarà possibile realizzarlo nella realtà sociale e politica italiana.

Pastore, dopo la firma nel 1946 da parte dei sindacalisti dei partiti antifascisti,  era divenuto membro della segreteria della Cgil. La insofferenza di Pastore al peso dominante delle correnti collegati ai partiti della classe operaia (socialisti e comunisti) era cresciuta negli anni fino al 1° maggio del 1948. Nel corso della manifestazione a Roma in Piazza del Popolo si formalizzò la scissione sindacale con l’abbandono della piazza da parte degli amici di Pastore che continuarono la manifestazione in una a piazzetta vicina. In quel momento, il patto di Roma era cancellato e si parlò della L (libera) Cgil  e si aprì la strada al nuovo, anche se questo si manifesterà progressivamente.

Pastore, in quelle giornate, non aveva ancora chiara la discontinuità, non solo rispetto alla nascita della Cisl che avvenne nel 1950, tanto che all’interno del nuovo sindacato si parlava ancora di correnti. La discontinuità sarà evidente progressivamente con le decisioni  del Consiglio Generale sul rifiuto dell’applicazione degli articoli 39 e 40 della Costituzione, sul sistema di relazioni industriali e la contrattazione aziendale e produttività, sui rapporti tra sindacato e governo e la concertazione (il piano Vanoni) e, infine, sulla nascita dell’Europa dalla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, la Comunità Economica Europea.

Il Consiglio generale della Cisl, nei primi anni, divenne una sorta di “assemblea costituente” con una ricca dialettica interna. Furono gli anni in cui, al di là della propria cultura politica, molti lavoratori e intellettuali aderirono alla Cisl e sostennero la libertà di un confronto che fosse significativo della discontinuità di un sindacato nuovo.  A Pastore e a Romani  si deve una scelta straordinaria. Pastore era consapevole che senza una crescita culturale personale e collettiva dell’associazione  non vi sarebbero state, per i lavoratori,  libertà e  autonomia.

Pastore chiese al suo sindacato che non solo i dirigenti ma possibilmente tutti i lavoratori tornassero o andassero a scuola. Nacque la scuola sindacale di Firenze per i dirigenti, con corsi annuali, e si svilupparono sul territorio tante iniziative formative (i “campi-scuola”). E, ogni anno, tutti i dirigenti federali e confederali andavano a Firenze per una settimana per riflettere insieme ad esperti autorevoli sulle grandi sfide del cambiamento. Si trattava di uno studio rigoroso, non di un “Bignami” per i sindacalisti. E quando Pastore chiese a Romani di organizzare un incontro di studio tra i suoi dirigenti e i professori di diritto ed economia del lavoro,  i due “amici”  decisero che la sede dell’incontro fosse l’Accademia dei Lincei, indicando ai sindacalisti la necessità di guardare all’accademia come determinante del progresso umano, e agli accademici di guardare con rispetto alla fatica del lavoro e di partecipare al riscatto culturale dei lavoratori.

Le discontinuità della Cisl, entrate progressivamente nella cultura e nella prassi sindacale delle diverse confederazioni e federazioni, oggi fanno parte del patrimonio culturale del sindacalismo italiano anche se esso non è del tutto utilizzato per affrontare le sfide del cambiamento del lavoro e dello stesso sindacato. Nella cultura di Pastore ci sono intuizioni e proposte che vanno oltre l’autonomia di un sindacato come associazione  in una società pluralista e investono la crisi della politica e della democrazia rappresentativa nel loro rapporto con la società moderna che, da tempo, rivendica nei confronti della politica spazi di autonomia e di autogoverno e, quindi, anela a un nuovo patto per una democrazia rappresentativa.

Pastore rivendica, per sé, autonomia dalla politica e, per la società, un nuovo patto con la politica al fine di costruire percorsi di dialogo che ne accettino, e consolidino, una sua nuova soggettività. La riflessione sul “sindacato nuovo” non aveva nulla a che vedere con il pansindacalismo del Sessantotto o con una semplice delegittimazione della responsabilità della politica e del principio della rappresentanza.  In queste intuizioni c’era il nocciolo di quella che sarebbe stata la crisi della democrazia rappresentativa e c’era  la presa di coscienza della fine del monopolio della politicità da parte di un ceto élitario che avrebbe distrutto un riformismo cosiddetto della sinistra democratica che cerca di trovare nelle forze dominanti nel mercato il suo interlocutore nuovo saltando le forme nuove di rappresentanza politiche. Forme nate e tuttora  confuse e in preda alla ricerca di un popolo che non esisteva e che non esisterà se non dentro forme autoritarie di governo.

In questo ricordo di Pastore sindacalista c’è il rimpianto per non essere riusciti, in questi ultimi decenni in cui il mondo è cambiato e continua a cambiare radicalmente, a sviluppare il suo insegnamento per vincere le sfide del cambiamento della società e della politica del nostro Paese.

Dopo Pastore e Romani il cammino non è stato sempre così netto e coerente con la cultura e con la tradizione della discontinuità, allontanandosi dalla ricchezza degli anni fondativi. Oggi, con lungimiranza e visione, si tratta di adeguare quel patrimonio di intuizioni e di progettualità al mondo nel quale viviamo, ricco di sfide nuove, e di altrettanti rischi, che incidono in maniera radicale e profonda sul futuro del lavoro e sul rapporto tra Stato, mercato e sostenibilità. Siamo infine chiamati, dalle nostre rispettive appartenenze culturali e politiche, a immaginare – e il più possibile a condividere – nuovi percorsi di democrazia rappresentativa resilienti e adeguati al tempo storico presente. Lo spirito di Pastore e di Romani vive in tutti coloro che, ancora oggi, lottano e lavorano per la libertà, per un vero realismo e per il buon governo.

(Foto: Portale Storico della Camera dei deputati-Camillo Giardina e Giulio Pastore)

 

 



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