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Vi spiego quanto farà male la riforma. Malgieri commenta il taglio dei parlamentari

La sudditanza psicologica è un morbo contagioso difficile da curare. E, come untori, i Cinque Stelle sembrano avere poteri taumaturgici nel diffonderlo. Si erano messi in testa di tagliare i vitalizi agli ex-parlamentari? Contro ogni ragionevole dubbio in materia, hanno trovato consensi pressoché unanimi nel sostenere la loro vendicativa misura contro la “casta”, salvo mettere mano alla coerente revisione delle correnti indennità ed accessorie prebende che gonfiano il portafoglio dell’anti-casta che soggiorna (o vivacchia?) tra Montecitorio e Palazzo Madama.

Alla stessa maniera, hanno diffuso la fola della necessità ineludibile del taglio dei parlamentari e questi, come tacchini in festa all’arrivo del Natale, si sono assoggettati alla richiesta pressante di Di Maio e soci per pura viltà, crediamo. Infatti, il timore di essere additati come difensori dei “privilegi” (sempre là si va a finire) li ha terrorizzati al punto di regalare al Movimento una vittoria, che è una vera e propria boccata d’ossigeno del tutto gratuita.

Quanto male farà questa riformetta lo vedremo in men che non si dica. Con un terzo dei parlamentari licenziati si stringono le maglie della rappresentanza sia territoriale sia dei cittadini; smisurati collegi o circoscrizioni (a seconda della legge elettorale che seguirà) non favoriranno uno stretto rapporto con gli elettori; le campagne elettorali torneranno ad essere faraoniche per intuibili motivi e le guideranno le lobby, i centri di potere, le clientele fameliche, i collettori di voti. Sì, ieri è stata proprio una bella giornata, come quella in cui venne abolita la povertà. È stata la giornata della rivincita della partitocrazia.

Che il Parlamento continui ad essere marginalizzato, che la democrazia populista e digitale avanzi imperterrita, che il principio di rappresentanza venga messo sotto i piedi come un’anticaglia inservibile, non ha smosso il Pd e Leu, che pure in precedenza avevano votato contro la demenziale legge pentastellata, ha indotto la Lega, preda della sindrome di Stoccolma, ad appoggiare il provvedimento, ha fatto provare un vero e proprio orgasmo alla destra di Fratelli d’Italia che ne hanno rivendicato la primogenitura (e ti pareva), non ha smosso neppure Forza Italia che sarà il partito che pagherà maggiormente gli effetti della nuova normativa.

Tutti insieme appassionatamente, insomma, verso lo svuotamento del Parlamento. E così ci siamo tolti un alto pensiero che turbava i nostri sonni: adeguarci agli standard europei. Come se in Europa guardassero a noi e a qualche decina di deputati e senatori in più (che per motivi geografici e demografici sopravanzavano gli altri parlamenti, ma erano pur sempre nella media continentale comunque), mentre nessuno si scandalizza per i circa milletrecento rappresentati britannici che affollano la Camera dei Lord e la Camera dei Comuni, gli ottocento parlamentari francesi, i circa seicento tedeschi (cui vanno sommati i deputati dei Länder che non sono come i nostri consiglieri regionali), e via seguitando. Adesso ne abbiamo cinque in meno della Spagna: complimenti. Un vestito su misura per la democrazia oligarchica verso la quale stiamo rapidamente incamminandoci sull’onda del populismo.

Già, il progetto è proprio questo, per chi non lo avesse capito. La riduzione degli spazi di democrazia nella convinzione che le assemblee decidenti non contino più nulla. Del resto perché tenere in piedi degli inutili baracconi quando le leggi le fa il governo ed il Parlamento deve sobbarcarsi la residua fatica di ratificarle? Lunedì scorso, del resto, mentre si discuteva della fine del parlamentarismo (perché di questo si tratta in buona sostanza) l’aula della Camera era vuota come il guscio di un uovo. Vale la pena tenerla ancora in piedi si chiede qualcuno? La democrazia digitale, quella che piace alle élite che smanettano sulla piattaforma Rousseau, è il nostro futuro: presto, prevediamo, verrà dato l’addio alla scheda, ai riti elettorali, ai ludi cartacei come si diceva una volta.

Nessuno – e ciò è rabbrividente – ha messo il dito nella piaga: la crisi della democrazia rappresentativa. Anzi, perfino coloro che nelle precedenti votazioni avevano negato il consenso alla legge, si sono fatti convincere che il risparmio in termini economici sarà considerevole dopo il taglio: cinquanta milioni di euro in meno all’anno a fronte di un debito pubblico di 37mila miliardi di euro, mentre soltanto la gestione fallimentare dell’Alitalia ci costa ogni mese la cifra che viene sbandierata come una conquista. Demenziale.

Il giacobinismo cominciò così: mettendo fuori gioco la casta dell’epoca – non gli aristocratici, quelli vennero decapitati senza complimenti – e inaugurando l’epoca dell’intolleranza seguendo il filo tessuto dal mite Rousseau, il filosofo, non la piattaforma. Capi e gregari si divorarono tra di loro. Arrivò l’autocrate che mise ordine in patria e scompiglio in Europa. Non accadrà lo stesso oggi, ma gli effetti saranno comunque devastanti per la democrazia italiana. Se ne accorgeranno coloro che hanno applaudito alla rivoluzionaria riforma. I primi sondaggi dicono che la maggioranza giallorossa si prenderà il grosso del bottino. Un capolavoro. Un applauso a Salvini, Meloni e Berlusconi. Se lo meritano proprio.


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